Sometimes I feel like a motherless child, sometimes I feel like a fatherless child
Far away from home, far away from home
Ultimi suggestivi lembi di terra del ponente ligure, spettacolarmente affacciati sul mare lucente tra le rocce, i Balzi Rossi furono frequentati dall’Homo sapiens sapiens fin dall’inizio del Paleolitico superiore, 40.000 anni fa, come testimoniano i resti di almeno 14 individui, tra cui i cosiddetti “negroidi di Grimaldi”, per i quali, pur cromagnonoidi, fu ipotizzato che fossero di origine africana. D’altra parte, l’Homo sapiens fa la sua comparsa in Africa orientale, e da lì, 65-75.000 anni fa, dà il via alla prima migrazione globale della storia: attraversando il medio-oriente, si diffonde su tutta la terra, e 40.000 anni fa colonizza l’Europa, Balzi Rossi compresi.
40.000 anni più tardi, a cento metri dalle grotte preistoriche, l’11 giugno 2015, alla frontiera franco-italiana di Ponte San Ludovico a Ventimiglia, un nuovo gruppo di migranti provenienti dall’Africa orientale si rifugia sugli scogli, appena prima della frontiera francese, per resistere ad un primo tentativo di sgombero da parte della polizia. È l’inizio della storia del presidio NoBorder dei Balzi Rossi, autogestito dai migranti stessi e da attivisti soprattutto italiani e francesi, che sarà sgomberato e smantellato dalle forze di polizia la mattina del 30 settembre. I migranti sgomberati provenivano soprattutto dall’Eritrea e dal Sudan. Abbiamo già parlato dell’Eritrea; questa volta cercheremo di capire meglio quello che sta avvenendo in Sudan.
Il Sudan ha una storia antichissima intrecciata con quella dell’Egitto; un tempo chiamato Nubia o regno di Kush, è in Sudan che si sviluppa, dall’ottavo secolo AC in poi, la civiltà meroitica le cui regine, le Candaci, costruirono centinaia di piramidi e resistettero ai Romani. Verso il terzo secolo, si diffonde in Sudan il Cristianesimo, che dopo il settimo secolo convive con l’Islam in espansione. L’Egitto ed il Nord del Sudan cadono sotto il dominio ottomano all’inizio del 1500; il Sudan meridionale è sottomesso nel corso dell’800; fiorisce il traffico degli schiavi.
Occupati nel 1882 Egitto e Sudan, la Gran Bretagna si trova a fronteggiare la rivolta Mahdista, che culmina con l’assedio di Khartoum e l’instaurazione della Mahdiyya, una teocrazia jihadista che sarà sconfitta da Lord Kitchener nella battaglia di Omdurman del 1898. Nel 1924 i britannici suddividono il Sudan tra nord arabo musulmano e sud africano cristiano-animista. Dopo la seconda guerra mondiale, la conferenza di Giuba del 1947 riunifica il paese. Nel 1956 l’indipendenza; da allora, il governo centrale del Sudan (dominato dagli arabi) e l’Esercito Popolare di Liberazione del Sudan (del sud) combattono due lunghissime guerre civili (1955 – 1972 e 1983 – 1998) che causano milioni di morti. Nel 1989 il colonnello Omar al-Bashir diventa Presidente dopo un colpo di Stato e nel 1998 conclude la pace con il Sud, che nel 2011, dopo un referendum, proclama la sua indipendenza. Ma nel dicembre 2013 un tentativo di colpo di Stato contro il presidente Salva Kiir scatena in Sudan del Sud un conflitto etnico che da allora ha già ucciso almeno 50.000 persone.
E anche l’ovest brucia. Dal 2003 i Janjawid (miliziani arabi della tribù nomade dei Baggara) seminano il terrore uccidendo almeno 400.000 persone tra gli agricoltori non Baggara del Darfur (pur a loro volta musulmani), con il sostegno di Khartoum. Il Governo USA denuncia un “genocidio” e nel 2009 la Corte Penale Internazionale emette un mandato d’arresto per Al-Bashir per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Nell’aprile del 2015 Al-Bashir (sempre a piede libero) rivince le elezioni in Sudan con il 94,5% dei voti.
In un tale contesto, quali sono le conseguenze per le popolazioni civili sudanesi? Per Aristide Nononsi, dal 2014 Esperto Indipendente Onu sui diritti umani in Sudan (ad esclusione del Sudan del Sud), la situazione rimane precaria. Le elezioni dell’aprile 2015 hanno conosciuto diffuse restrizioni imposte ai diritti politici, particolarmente alle libertà d’espressione, riunione e associazione, che hanno colpito le attività delle organizzazioni della società civile.
I conflitti armati e la mancanza di sicurezza continuano a provocare numerose violazioni dei diritti umani in molte zone. In Darfur, Southern Kordofan e Blue Nile, l’impatto devastante dei conflitti ricorrenti tra le forze governative ed i gruppi armati ribelli, degli scontri intertribali e del banditismo armato ha causato lo sfollamento su larga scala delle popolazioni civili ed una grave crisi umanitaria. Più di un milione di sfollati è rimasto intrappolato in aree inaccessibili dove non giunge alcuna assistenza umanitaria.
Secondo Nononsi, perché la situazione dei diritti umani in Sudan possa migliorare, è fondamentale che sia applicato il Documento di Doha per la Pace in Darfur, che costituisce un quadro normativo capace di favorire una pace durevole e la riconciliazione in quello Stato.
È altresì essenziale che la comunità internazionale – Ue e governo italiano compresi – aumenti il sostegno tecnico e finanziario al governo del Sudan, alle istituzioni nazionali per la difesa dei diritti umani e alla società civile, per costruire la capacità del Paese di proteggere i diritti dei propri cittadini. Infine, è necessario continuare a sostenere il dialogo nazionale per facilitare la ricerca della pace, della sicurezza, della stabilità e della riconciliazione in Sudan.