Carlo Verdelli, appena crocifisso nel ruolo di direttore editoriale dell’informazione Rai, è un fior di giornalista e una persona coraggiosa che, tanto per dire, a fine 1995, già affermatissimo in Rcs, era pronto, ne fummo promotori e testimoni, a rischiare l’osso del collo per buttarsi nell’avventura del mitico “terzo polo”, allora chiamato Tmc. Ma fece in tempo a vedere l’abisso, quando accettata la prospettiva e invitato a concludere l’accordo, visse invece una interminabile (circa cinque ore), indimenticabile anticamera che la diceva lunga sull’inadeguatezza della proprietà e della governance della La7 cecchigoriana d’allora. Malasorte, ma buona fortuna perché gli offrì la consapevolezza, l’informazione e il destro per ritrarsi in tempo da quell’impresa che si palesava impossibile.
Ma l’impresa veramente ardua è quella che dovrà affrontare ora. I “direttori/coordinatori editoriali” non sono mai nati sotto buona stella. Come capitò a Mentana, che dopo avere assaggiato il vuoto dell’incarico per qualche tempo in Mediaset, si risolse ad abbandonare la partita traslocando d’azienda. Si dirà che Mediaset è Mediaset e che i signori del palinsesto che vi albergano non hanno punta voglia di farsi consigliare da altri. Ma in Rai sarà peggio perché i direttori veri, fortificati dalla specificità del contratto giornalistico, sono quelli di testata, e cioè coloro che dovrebbero essere coordinati.
Sicché, tenere le testate come sono, con i loro direttori, le loro edizioni, le loro duplicazioni e nominarne una sorta di regista sarebbe un po’ come se Renzi, anziché riformare il Senato per spezzarne la ridondanza con la Camera (santa riforma!) avesse proposto la costituzione di una terza assemblea incaricata di coordinare le due preesistenti, lasciate immutate riguardo a ruoli, organizzazione, poteri. E spese, perché la voce del costo dei tg non si gonfia a causa dell’episodico sommarsi di più troupes sullo stesso avvenimento (questione che carsicamente offre il destro agli sfottò dei giornali e al moralismo da blog), ma per il loro quadruplice distendersi dall’alba alla notte, nel perfetto parallelismo dei tre canali generalisti e dell’all news. Per non parlare delle 23 strutture regionali e di qualche testata tematica.
Certo, che a metter mano a questa pluridecennale eredità si dovrebbe affrontare il tema degli “esuberi” e di come e a cosa volgerli. Non farlo, a leggere le rasserenate dichiarazioni dei consiglieri, sembra la prima, vera scelta strategica del nuovo vertice Rai. E quindi rassegniamoci ad assistere a molti slanci verso il futuro, ma lasciando intatto il passato. Come nella vecchia storia di quello che pretendeva insieme la botte piena e la moglie ubriaca.