Ha voluto porre la parola fine su questa vicenda. Ha sempre negato di voler fare “apologia” dell’Isis, sosteneva di voler dare informazioni diverse sullo Stato islamico, ma le prove erano schiaccianti. Alla fine, però, per lasciarsi tutto alle spalle, ha chiesto di patteggiare una condanna a due anni di carcere. È terminata giovedì a Torino la vicenda giudiziaria di Elmahdi Halili, ventenne italiano di origini marocchine arrestato il 23 marzo scorso nell’ambito dell’operazione “Balkan connection” della Digos di Brescia. Il gup Potito Giorgio ha accolto la sua richiesta di patteggiamento, poi ha sospeso la pena e il giovane, fino a giovedì detenuto ai domiciliari, è tornato libero.
Il 3 dicembre 2014 il ventenne Halili, indagato per apologia di reato aggravato dalle finalità terroristiche, aveva pubblicato su internet il documento “Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”, un file pdf di 64 pagine con testi, interviste e foto tratti dai media propagandistici dell’Isis, come la rivista Dabiq. Nell’introduzione Halili spiegava di aver preparato questo documento “per cercare di presentare in modo riassuntivo una realtà di cui si parla molto” senza usare lo sguardo dei “media accusatori”, bensì quello dei “media degli accusati”.
Seguiva un “hadith” di Maometto che ordina “di ascoltare l’accusato allo stesso modo di come si è ascoltato l’accusatore”. E poi passava a una spiegazione sui “servizi offerti dallo Stato islamico” grazie alle ricchezze ottenute coi bottini di guerra e coi doni di musulmani. Lo Stato islamico, secondo Halili, è un sistema molto attento ai bisogni dei cittadini, capace di fornire dall’assistenza medica alla tutela dei consumatori, dai servizi di polizia per reprimere i consumi di alcool e sigarette, alla distribuzione di beni di primo bisogno. Una visione apologetica che ometteva del tutto le violenze, le decapitazioni e gli stermini. “Il mio cliente ha sempre spiegato che non voleva fare un’apologia del terrorismo. Aveva un interesse di tipo culturale e storico sugli avvenimenti in Siria e ha pensato di rappresentare l’ideologia dell’Isis in una maniera che per lui mancava”, ribadisce il suo avvocato Enrico Bucci.
Tuttavia alla fine del suo documento Halili rivolgeva un invito al lettore: “Accorri al supporto del Califfato Islamico!”. E ancora: “Accorrete oh Musulmani, questo con il permesso di Allah è il Califfato Islamico che conquisterà Costantinopoli e Roma”. Per questa ragione il gip di Brescia Cesare Bonamartini aveva giudicato quel testo “il primo documento organico di propaganda redatto in lingua italiana dell’ideologia estremistica musulmana, fatta propria dall’organizzazione terroristica ‘Stato islamico’”, un documento che aveva una “indubbia capacità di presa sulle giovani generazioni”, sulle quali “i temi dell’ingiustizia sociale hanno facile presa, al fine di convincerli a recarsi in Siria ed in Iraq a combattere per lo Stato Islamico”.
Per questa ragione Halili è stato prima portato nel carcere di Voghera e dopo un mese è stato mandato agli arresti domiciliari nella sua casa di Lanzo, paese di una vallata della provincia di Torino. Allo stesso tempo l’inchiesta bresciana veniva mandata per competenza territoriale a Torino, dove a occuparsene è stato il sostituto procuratore Antonio Rinaudo. A lui è arrivato anche il fascicolo su Elvis Elezi, 21enne albanese, altro arrestato dell’operazione “Balkan connection”. L’accusa nei suoi confronti è quella di aver tentato di reclutare combattenti per l’Isis.
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