Continua il braccio di ferro tra Russia e Turchia. Due leader populisti che fino a poche settimane fa andavano a braccetto. Erdogan è infatti l’unico leader occidentale che ha assistito alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici di Sochi. E bisogna ricordare che sono state imprese turche a costruire gran parte dell’infrastruttura dei giochi olimpici di Sochi. In cambio i russi hanno vinto gli appalti per costruire una centrale nucleare sulle coste mediterranee della Turchia, per un valore di crica 20 miliardi di dollari. Ma, dopo l’abbattimento del caccia russo, questo progetto è stato sospeso.

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La Turchia è il secondo maggior consumatore di gas naturale russo e i due leader hanno approvato mesi fa la costruzione di un gasdotto attraverso il Mar Nero, che naturalmente al momento è stata anch’essa sospesa. Basta questo per illustrare il rapporto speciale che fino a pochi giorni fa legava le due nazioni e come stia evaporando nelle ultime settimane. Che succede?

Sicuramente i bombardamenti russi hanno fatto salire il numero dei profughi siriani che si riversa in Turchia e messo a dura prova l’appartenenza della Turchia alla Nato. Ma è anche vero che le tensioni politiche tra turchi e kurdi sono più legate all’intervento armato delle forze di coalizione che a quello della Russia. Mosca ha solo peggiorato una situazione già critica. Allora perché abbattere un aereo russo?

Difficile capire le dinamiche politiche. Forse Erdogan dopo la schiacciante vittoria elettorale pensa di avere carta bianca e vuole mostrare agli americani che la Turchia sta con l’Occidente. O forse è convinto che le promesse della Merkel si avvereranno, che la Turchia riuscirà ad entrare nell’Europa Unita ed a quel punto potrà ignorare l’importanza commerciale della Russia. Oppure si tratta di un errore, spiegazione più plausibile. Secondo alcune fonti turche che vogliono rimanere anonime dopo un certo numero di ‘violazioni’ scatta automaticamente l’ordine di abbattere gli incursori.

Nel frattempo la Russia sta studiando una serie di sanzioni economiche da imporre, comprese quelle relative al commercio di grano e riso. Intanto da venerdì sono state interrotte le autorizzazioni doganali per le spedizioni di frumento dai porti del Mar d’Azov, dove viene gestita la maggior parte dell’esportazione di grano. L’esportazione di grano russo in Turchia è uno dei più importanti scambi tra le due nazioni. Da luglio ad ottobre, la Turchia ha acquistato circa 1,6 milioni di tonnellate di grano russo, è quindi il secondo più grande acquirente della Russia dopo l’Egitto. Se la Turchia venisse tagliata fuori dalle esportazioni russe, gli importatori dovranno pagare dai 30 ai 40 dollari in più per tonnellata di grano perché costretti ad acquistare dal Canada, dall’Australia o dagli Stati Uniti.

Sul piano economico la fine del rapporto speciale tra Turchia e Russia può avere un impatto negativo per entrambe le nazioni. Nel 2014 il commercio tra Russia e Turchia ha raggiunto i 31,6 miliardi di dollari. La Russia vende petrolio e gas naturale alla Turchia ed acquista prodotti agricoli, macchinari e servizi turchi. Negli ultimi 13 anni, la Turchia è stata il paese più gettonato dai turisti russi. Nel 2014 i 3,3 milioni di russi hanno speso in Turchia 3,7 miliardi di dollari.

Sulla base di queste cifre l’ostinazione della Russia appare poco comprensibile. A meno che l’accordo con Hollande sia il preludio del ripristino delle relazioni commerciali tra Russia ed Europa. Le sanzioni sono a tempo e stanno per scadere, è quindi possibile che in sordina non verranno rinnovate.

Per la Russia le tensioni con la Turchia potrebbero essere anche vantaggiose. La maggior parte della popolazione musulmana – 16,5 milioni, pari all’11 per cento di quella totale, e circa 4 milioni di migranti provenienti dal Caucaso e dall’Asia Centrale – è sunnita e considera il regime sciita di Assad una dittatura violenta e sanguinaria. L’intervento di Mosca in Siria rischia di radicalizzare nuovi segmenti della popolazione mussulmana, secondo dati ufficiali prodotti dal ministero degli affari esteri al momento nelle fine dei jihadisti siriani ci sarebbero già 2.400 russi. Spostare l’enfasi sulla Turchia, dunque, potrebbe facilitare la strategia di Putin di trasformare questo conflitto in una guerra nazionalista, che ha lo scopo di difendere gli interessi della Russia, come ha già fatto in Ucraina ed in Cecenia.

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