L’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini ha ammesso che le accuse di spreco di denaro pubblico e corruzione nella compravendita delle azioni della Milano-Serravalle, mosse all’allora dirigente Pd e presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, “non avevano riscontro”. A sostenerlo è lo stesso Penati in un comunicato stampa che dà conto di una lettera ricevuta dallo stesso Albertini. Il quale, riferisce l’ex capo della segreteria politica di Pierluigi Bersani, ritratta i contenuti di un’intervista data nel settembre 2011, quando aveva parlato di “spreco di denaro pubblico per 238 milioni, con il 10 per cento finito a Penati e al Pd. E due milioni già trovati”.
Ora il senatore di Area popolare ha scritto a Penati riconoscendo “che è una circostanza che non ha avuto alcun tipo di riscontro probatorio” e che vi è, invece, “una sentenza della Corte dei Conti (datata 25 febbraio, n. 56/2015), seppur non definitiva, la quale afferma l’esatto contrario, riconoscendo (tra l’altro) che quanto pagato per detta transazione commerciale ben poteva esser considerato congruo”. Va ricordato che a vendere era il gruppo Gavio, che dalla transazione ottenne una plusvalenza di 179 milioni. Quanto poi all’affermazione secondo cui almeno il 10 per cento sarebbe finito a Penati e al Pd, continua Albertini nella lettera riportata dal comunicato di Penati, “riconosco che quanto segnalatomi dal mio assessore è risultato anch’esso privo di alcun tipo di riscontro per cui non ho, oggi, nessun elemento per sostenere che Tu abbia tratto qualsiasi tipo di utilità, profitto o vantaggio dalla vicenda Serravalle”.
Sul punto dei due presunti milioni “già trovati”, si legge ancora nel comunicato di Penati, Albertini scrive: “Riconosco che tale somma si riferisce ad una fattispecie diversa da quella che Ti ho allora attribuito in base ad erronee indicazioni allora riportate dalla stampa e che, oggi da Te apprendo non avere nulla a che vedere con l’acquisto delle azioni ‘Serravalle’ da Gavio, e che neppure Ti riguardava (e ancor meno Ti riguarda oggi), sia come soggetto destinatario di tale somma, sia come potenziale intermediario”.
Infine l’affermazione che l’operazione in oggetto fosse stata seguita e voluta dai massimi vertici del Pd di allora, perché necessaria per la campagna elettorale delle Politiche del 2006: “Prendo atto e confermo che il tutto è poi risultato privo di riscontro”. In conclusione, scrive Albertini, “ti do atto del fatto che quanto da me affermato in occasione di quella intervista era il frutto di una convinzione personale maturata in me sulla base di dichiarazioni di terzi e, in qualche modo, riprese dalla stampa al momento non verificabili e successivamente non convalidate. Ti ribadisco che non era certo mia intenzione attaccarti personalmente, volendo evidenziare con finalità di critica meramente politica una condotta che – ove fondata – sarebbe stata certamente censurabile”.