Qualche giorno fa sono stato nominato difensore d’ufficio, in udienza, di due donne imputate di un reato assai grave: avevano rubato una maglietta stesa ad asciugare davanti alla casa di una loro vicina. Sulla maglietta c’era la scritta “love”; forse questo determinava l’ingente valore di mercato del capo: 10 euro circa.
Date le prove schiaccianti a loro carico, ho pensato di chiedere subito la non punibilità delle imputate per la particolare tenuità del fatto. Ma mi sono, altrettanto presto, reso conto che quest’opzione difensiva era impraticabile: alle due pericolose criminali era stato contestato il furto aggravato, la cui pena va da uno a sei anni di reclusione. E un reato può esser ritenuto “particolarmente tenue” solo se è punito con una pena fino a cinque anni.
Ieri abbiamo appreso, da un rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (Aea), che nel 2012 l’inquinamento dell’aria ha causato 491.000 morti premature nell’Unione Europea. In questo poco esaltante risultato, il cosiddetto “Belpaese” si conquista un glorioso primato: 84.400 decessi, ripartiti, sotto il profilo della derivazione causale, tra micro polveri sottili (Pm2.5), biossido di azoto (NO2) e ozono.
Quello dell’Aea non è certo il primo studio a far emergere l’impatto sulla salute pubblica della “mal’aria”, per riprendere la locuzione icastica utilizzata da Legambiente per un suo rapporto annuale sul tema. Su questo stesso blog, per esempio, poco tempo fa, si era dedicato un post a uno studio di alcuni ricercatori del Cnr di Lecce e Bologna relativo all’impatto sanitario della centrale Enel di Brindisi-Cerano; più precisamente delle emissioni in atmosfera di particolato primario e secondario dello stesso insediamento industriale.
In quello stesso post, si citavano altre autorevolissime fonti che attestano e specificano le conseguenze, in Italia, sulla salute delle persone dell’inquinamento atmosferico, come il progetto Viias che ha accertato che “nel 2005, anno di riferimento, sono risultati attribuibili all’esposizione della popolazione al PM2.5 34.552 decessi (il 7% della mortalità per cause naturali osservata in Italia)”.
Insomma, quella dell’inquinamento dell’aria, in Italia, è una “emergenza” di lungo corso; tra le varie “emergenze ambientali” che la impreziosiscono.
Nel maggio scorso, dopo un’attesa pluridecennale, questo Paese si è finalmente dotato di un serio apparato normativo di tutela penale dell’ambiente, con l’inserimento nel codice penale dei “delitti contro l’ambiente”. In particolare, sono stati introdotti, tra gli altri, il reato di inquinamento ambientale, che consiste anche in una “compromissione o un deterioramento significativi e misurabili [….] dell’aria” (punito nell’ipotesi base con la pena da due a sei anni di reclusione); nonché quello di “morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale”, punito con una pena che può arrivare a vent’anni di reclusione. Un serio danno alla matrice ambientale “aria”, quindi, è oggi perseguibile da parte della magistratura con un reato e una sanzione finalmente seri.
Nello stesso periodo in cui veniva approvata la legge sugli ecoreati, però, ne veniva varata anche un’altra, quella istitutiva della cosiddetta “particolare tenuità del reato” come causa di non punibilità dello stesso, cui si faceva riferimento all’inizio. Anche in quest’occasione, il legislatore patrio non mancava di fornire un’illuminante dimostrazione della sua coerenza legislativa, estendendo l’applicabilità di quella sorta di potenziale indulgenza plenaria penale anche ai reati ambientali previsti dal cosiddetto “Testo Unico Ambiente”.
Illeciti che, per quanto inficiati a monte da una serie di “tare genetiche e funzionali” che ne rendono l’applicazione regolarmente precaria e inefficace (sul punto, sia consentito un altro rinvio a questo stesso blog), teoricamente potrebbero risultare utilissimi in chiave preventiva di comportamenti di inquinamento, giacché scattano quando il bene ambiente sia anche solo esposto a pericolo, e non già direttamente danneggiato.
Per stare al tema dell’inquinamento dell’aria, un esempio è dato dal reato commesso da “chi inizia a installare o esercisce uno stabilimento in assenza della prescritta autorizzazione (alle emissioni in atmosfera, ndr) ovvero continua l’esercizio con l’autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata”: costui “è punito con la pena dell’arresto da due mesi a due anni o dell’ammenda da 258 euro a 1.032 euro”. Inoltre, “chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione” rischia la sanzione, ancor più drastica, dell’arresto fino ad un anno o dell’ammenda fino a 1.032 euro.
Com’è evidente, questo tipo di condotte di reato ha parecchio a che fare con l’eccellente performance di questo Paese di 84.400 morti da emissioni in atmosfera, in un anno, su citata. Ciononostante, viene punito con quel tipo di pene “draconiane”. Anzi, da aprile scorso, rischia di esser dichiarato, non occasionalmente, non punibile in quanto “particolarmente tenue”.
La prossima volta che sarò nominato difensore d’ufficio di due imputate come quelle descritte sopra, consiglierò loro, se proprio vogliono delinquere, di “esercire” uno stabilimento senza l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, invece di rubare una maglietta.