È un po’ come tornare bambini, quando con la palla di pezza si calciava in cameretta aiutandosi grazie alla sponda del muro. Gioco veloce e mai interrotto, tutto controllo e tecnica, il jorkyball ha riprodotto quelle partite senza tempo appartenute all’infanzia di qualunque ragazzino. Dopo l’esplosione seguita a Italia ’90, quando venne presentato al grande pubblico dal suo inventore, il francese Gilles Painez, e un periodo di flessione, questo calcio due contro due da praticare in una ‘gabbia’ di cinquanta metri quadri sta tornando a crescere.
Lungo la Penisola si contano ventisette campi e un migliaio di praticanti. Da Ostia Lido a Martina Franca, fino a L’Aquila, Milano, Perugia, Firenze e Nuoro, le sfide a jorkyball hanno ricominciato a prendere piede. E fanno dell’Italia uno dei Paesi più attivi assieme alla Francia, al Canada e a Israele, mentre campi sono appena stati inaugurati o sono in costruzione in Turchia, India, Portogallo e Giappone.
Una nuova primavera sbocciata grazie alla versatilità di uno sport che si adatta facilmente alla vita frenetica e alle abitudini fisiche di tutti. Nell’ultima Coppa Italia, giocata a Chiusi, nel Senese, ha vinto una coppia di cinquantenni. Gente che strisciato il cartellino e allentata la cravatta, corre sul campetto convocando altri tre amici. E via, si gioca senza dover rintracciare e riunire dieci conoscenti. Ma si divertono anche i bambini e non mancano le donne che si sono avvicinante al rettangolo in sintetico dove la sfera di feltro diventa una specie di palla matta. Così come il tennis si è evoluto nel paddle, il jorkyball rappresenta una costola del calcio: campo di 10 metri per 5, circondato da pareti di plexiglass che aggiungono una terza dimensione poiché è permesso l’uso della sponda. Un dettaglio che imprime velocità al gioco ed esalta chi ha buon controllo di palla e grandi riflessi. I ruoli? Due, da scambiare per regolamento. Un difensore e un attaccante: il primo può muoversi e toccare il pallone solo nella propria metà campo, l’altro è libero di spaziare lungo tutti i dieci metri.
La partita si gioca al meglio dei tre set, ognuno vinto dalla coppia più abile a segnare per prima sette reti nelle porte quadrate di un metro per un metro da difendere senza l’uso delle mani, proibito dal regolamento. Ma difficilmente accade che l’arbitro sia costretto a intervenire, poiché un’altra delle norme fondanti del jorkyball è il rispetto. Basti pensare che l’ultima espulsione in una competizione internazionale risale a undici anni fa e solitamente quando viene assegnata una punizione – abbastanza facile da trasformare poiché chi difende deve posizionarsi a un metro dalla porta – la palla viene restituita all’avversario. Insomma, il fischietto è fisicamente fuori dal campo, non solo per ragioni di spazio. Come avveniva nella stanzetta da bambini: si bisticciava ma pur di continuare a giocare si trovava una soluzione. Sui campetti di questo calcio in miniatura, certe regole non scritte ma istituzionalizzate ricordano molto il fair play del rugby. Altro che tuffi e simulazioni delle star del pallone mondiale. È il jorkyball, bellezza.