Il problema è l’identità del giornale. Oggi come nel 1989. La Repubblica ha già attraversato una fase in cui la sua identità è stata in pericolo. Le titubanze odierne di Eugenio Scalfari – sulla nomina del direttore Calabresi, non sgradito a Renzi e Berlusconi – hanno origini lontane.
Dopo gli anni felici (Scalfari annuncia nel 1986 il sorpasso del Corriere della sera. Vendita media di aprile: 696 mila copie), arrivano le difficoltà: Berlusconi attacca. Inizia la guerra di Segrate. Scalfari: “Ho ancora nelle orecchie le parole che il ‘boss’ della Fininvest disse qualche settimana fa: ‘Vorrei fare un prodotto orientato sulle idee di Andreotti, Craxi e Forlani’”. Aggiunge: “Questo concetto dell’informazione omologata sulle lunghezze d’onde del Potere non è il nostro. Mi corre onestamente l’obbligo di segnalarlo nel momento in cui Berlusconi annuncia l’esistenza di una nuova maggioranza all’interno del gruppo Mondadori.” E. Scalfari, La libertà di stampa non si compra, la Repubblica, 3 dicembre 1989.
Scalfari e la redazione di Repubblica sono sul piede di guerra. De Benedetti fa ricorso alla magistratura, denunciando la violazione degli accordi di sindacato stipulati coi Formenton. Per il Fondatore sono giorni di rabbia e d’orgoglio: può egli, che negli editoriali attacca Ghino di Tacco e il mandarino cinese (Andreotti), avere come editore un loro fedele alleato?
Infatti riunisce i giornalisti in assemblea e detta la linea: “Ci accusano, nientemeno!, di voler interferire nell’attività di governo e dei partiti. Ebbene, non è che noi vogliamo interferire: noi dobbiamo interferire. Questa è la nostra funzione. Ci accusano di essere un partito? Certo, noi siamo il partito del giornalismo che esercita il proprio ruolo! (…) Tutti noi di Repubblica sappiamo, perché ce lo hanno scritto sulla fronte, quale sia il nostro peso in Italia. Quale sia il ruolo del nostro giornale e la sua funzione. Dunque, non sarà facile mandarci via. E non sarà facile cambiare Repubblica. Se vogliono cambiare il giornale, il primo passo è quello di cambiare il direttore, perché io continuerò a tirare dritto per la mia strada, per la nostra strada”. (Giampaolo Pansa, L’intrigo).
Tre giorni dopo la nomina di Berlusconi alla presidenza della Grande Mondadori, la direzione del giornale dichiara“irricevibile” il nuovo editore. I giornali registrano i fatti con titoli che – visti nel loro insieme, oggi – danno l’idea dello scontro in atto: “Berlusconi conquista Mondadori. Scalfari replica: non lo riconosco” (Corriere della sera); “Sua editoria” (Il manifesto); “Berlusconi pigliatutto” (Il secolo XIX); “Mondadori espugnata” (l’Unità); “Berlusconi re di Segrate” (Avvenire); “Colpo grosso alla Mondadori. Berlusconi nuovo presidente” (Italia Oggi); “Ora comanda Berlusconi” (Il resto del Carlino).
Scalfari ritorna più volte sul punto: “Qualcuno, cui la speciale indipendenza di Repubblica non piace, ha ritenuto che la nostra anomalia non fosse felice, ma nefasta. E ha coniato una definizione mitologica per il suo direttore, che sarebbe un ircocervo: animale per metà uomo e per metà ariete (…) Un soggetto, cioè, che non può e non deve esistere in natura”. Spiega: “Non c’è da stupirsi se, in questo contesto, la Repubblica sia diventata una posizione da espugnare”.
Il Fondatore è preoccupato. Quanto al suo ruolo, maturano ipotesi di scelte radicali: “Temendo che Berlusconi riuscisse a conquistare il controllo di Repubblica, Caracciolo e Scalfari pensarono di dare vita a un nuovo quotidiano al cui finanziamento avrebbero partecipato anche loro”. I giornali danno ampio spazio alla notizia. Citiamo La Stampa: “Scalfari pensa a un nuovo giornale. Avrebbe già pronti i 200 miliardi necessari”; “Fermento nella redazione di Repubblica per le prossime decisioni del direttore.” (R. Gianola, La vecchia guardia è con Scalfari, La Stampa, 14 gennaio ‘90).
Lo scenario però cambia. Il 21 giugno ’90 il lodo arbitrale dà ragione a De Benedetti. Il risultato è l’azzeramento del Consiglio di amministrazione: il boss di Segrate è costretto a lasciare la presidenza della Grande Mondadori. La storia ovviamente continua nei decenni successivi, fino a oggi. Non ci interessa seguirla. Volevamo soltanto indicare che il cambio di guardia a Repubblica – l’arrivo di un direttore non sgradito a Renzi e Berlusconi – ha alle spalle la storia appena descritta. Può oggi Scalfari accettare una direzione che “omologa Repubblica sulle lunghezze d’onda del potere” renziano-berlusconiano (patto del Nazzareno)? Le parole tra virgolette sono del 1989.
Il problema è sempre quello. Ma più sfumato. Sfuggente. Dunque, più pericoloso. Non c’è l’attacco diretto di Berlusconi, ma Repubblica resta “una posizione da espugnare”. Comunque da ammorbidire. Allora furono i giornalisti a dichiarare irricevibile il nuovo editore (Berlusconi); oggi il rischio è che siano i lettori a dichiarare irricevibile il direttore “non sgradito” al Caimano. Calabresi è l’uomo attraverso il quale l’omologazione del quotidiano di Largo Fochetti al renzismo (e al patto del Nazzareno), trova il punto di massimo sviluppo. Non si tratta più di opporsi all’affiliazione al Cav, ma a qualcosa di più sfuggente (la democratura di Renzi). Comprensibile che Eugenio Scalfari sia preoccupato.