In via informale la chiamano “antimafia dei pennacchi”, e sarebbe poi quel proliferare di carriere e fortune protette dall’ombra di una fraudolenta battaglia contro Cosa nostra. Un cortocircuito pericolosissimo quello della legalità diventata vessillo protettivo per potenti che lucrano con gli stessi metodi mafiosi, e che adesso diventa per la prima volta materia d’indagine per il Parlamento. La commissione Antimafia, infatti, comincia questa sera una lunga serie di audizioni per approfondire limiti e contraddizioni del vasto insieme che negli ultimi anni si è auto posizionato in prima fila nella lotta per la legalità: postazione un tempo scomoda e pericolosa, che oggi è diventata alibi fondamentale per costruire fulgide carriere.
L’indagine della commissione. È per questo motivo che adesso palazzo San Macuto vuole vederci chiaro, passando in rassegna ogni dettaglio di quel variopinto mondo che è diventato il movimento antimafia. “Una decisione insolita ma necessaria”, la definisce Claudio Fava, vicepresidente di Palazzo San Macuto, che poi spiega: “Occorre intervenire su chi ha costruito carriere e potere all’ombra di una lotta alla mafia soltanto presunta, bisogna smascherare le autocelebrazioni, dare nomi e cognomi a coloro che hanno trasformato questo impegno in una risorsa di potere personale, di vanità, di esibizione”. Il primo a sfilare davanti alla commissione sarà lo storico Salvatore Lupo, autore di una serie di libri su Cosa nostra, e anche di un contestatissimo saggio (firmato con il giurista Giovanni Fiandaca) che sostiene una tesi giustificazionista della trattativa Stato-mafia. “Lupo – dice Fava – darà un quadro d’insieme: poi toccherà a giornalisti, magistrati, imprenditori, associazioni antiracket. Ascolteremo tutti e analizzeremo bilanci e contributi di enti e fondazioni. Non ci sovrapporremo all’attività della magistratura, ma dobbiamo intervenire coi nostri strumenti anche per salvaguardare il prezioso lavoro di un’antimafia concreta e sociale che in questi anni ha dato i suoi frutti. Un risultato che è messo a rischio dalla mutazione del fenomeno: il nostro obiettivo è provare a capire come sia potuto accadere che l’antimafia finta e vuota abbia fatto anche più danno della stessa mafia”.
Da Sciascia al caso Saguto. Un fenomeno paradossale, quello che adesso diventa tema d’indagine per la commissione, ipotizzato prima di tutti da Leonardo Sciascia, autore del profetico e celebre fondo sui professionisti dell’Antimafia: locuzione oggi attualissima, quando sono trascorsi poco meno di trent’anni dalla pubblicazione di quel contestatissimo editoriale sul Corriere della Sera. In attesa delle audizioni, infatti, i tavoli dei parlamentari di Palazzo San Macuto sono già occupati da decine di recentissimi articoli di giornale che raccontano la cronaca di quello che passerà alla storia come l’annus horribilis dell’antimafia, travolta non solo dalle polemiche ma soprattutto dalle indagini della magistratura. L’ultima in ordine di tempo è quella che ha colpito Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, la zarina che per anni ha amministrato i beni confiscati a Cosa nostra. Per la procura di Caltanissetta si è macchiata di abuso d’ufficio, corruzione e concussione: all’ombra della “robba” dei boss aveva creato un cerchio magico fatto di favori, prebende e raccomandazioni. “Avrei voluto che Libera si accorgesse del problema nato sulla gestione dei beni sequestrati, prima che arrivasse la magistratura”, ha detto Franco La Torre, figlio di Pio, il parlamentare comunista assassinato da Cosa nostra, che ha appena lasciato l’associazione dopo essere entrato in polemica con don Luigi Ciotti.
Sempre da Caltanissetta è arrivato il primo pesantissimo colpo alla credibilità dell’imprenditoria antimafia siciliana. Da più di un anno infatti i pm nisseni indagano per concorso esterno a Cosa nostra Antonello Montante, presidente di Confindustria sull’isola, delegato per la legalità di viale dell’Astronomia, uno dei frontman della riscossa antiracket degli imprenditori siciliani.
Indagini e arresti: l’annus horribilis dell’antimafia. Un settore, quello confindustriale, che più di tutti ha utilizzato i vessilli antimafia negli ultimi anni, e che viceversa adesso vede alcuni dei suoi leader travolti dalle inchieste. Si va da Salvo Ferlito, dimessosi da presidente di Ance Sicilia (l’associazione dei costruttori edili di Confindustria) dopo una condanna a tre anni per truffa, a Ivo Blandina, nominato commissario degli industriali di Siracusa quand’era già indagato per truffa alla Regione Siciliana (dopo il rinvio a giudizio ha lasciato l’incarico), fino al caso di Francesco Domenico Costanzo, il patron della Tecnis autore di vibranti moniti: “La legalità per un imprenditore è responsabilità sociale e dovere morale”, diceva prima di finire ai domiciliari nell’inchiesta sulle tangenti Anas.
Ha già rimediato una condanna a quattro anni e otto mesi, invece, Roberto Helg, l’ex presidente della Camera di Commercio di Palermo che per anni ha spiegato di essere in prima fila contro il “pizzo” e l’usura, poi “incastrato” mentre chiedeva una tangente da centomila euro a un commerciante: un’estorsione in piena regola, come quelle che diceva di combattere ogni giorno. L’elenco dei vip antimafia finiti nei guai dopo aver tenuto una condotta quasi peggiore rispetto a quella dei boss è insomma ormai sterminato, ed è per questo che pochi mesi fa lo stesso don Ciotti aveva lanciato l’allarme. “L’antimafia – diceva il fondatore di Libera – è ormai una carta d’identità, non un fatto di coscienza. Se la eliminassimo, forse sbugiarderemmo quelli che ci hanno costruito sopra una falsa reputazione. L’etichetta di antimafia oggi non aggiunge niente. Anzi”. Uno spunto raccolto dalla commissione Antimafia che adesso indagherà sulla stessa antimafia: sembra una boutade, un errore, un paradosso. E invece è solo il prologo della triste degenerazione di un fenomeno, nato sul sacrificio di pochi uomini coraggiosi, mai come oggi così poco rispettati.