Dopo la protesta, il Senatore Marco Filippi è pronto al dietro front: “Mi dispiace che si sia creato un caso sul nulla, forse qualcuno ha voluto fare polemiche gratuitamente. Ci saranno questioni spinose nella riforma del Codice della strada, ma non è certo questo il caso"
Il Pd fa marcia indietro. Dopo la protesta sui social network e la mobilitazione di tutto il mondo delle due ruote, il senatore piddino Marco Filippi, il firmatario dell’emendamento “tassa biciclette”, ammette che il testo “è stato scritto male” e dovrà essere riformulato, o addirittura ritirato. Perché, ribadisce, “nessuno all’interno del Partito Democratico ha mai pensato di far pagare chi va in bici. Vorremmo solo combattere i furti”. Ma effettivamente il testo presentato al Senato è poco chiaro e allo stato attuale rischia di stangare gli appassionati di tutto il Paese con marchio, bollo o targa che sia.
Ad annunciare il dietro front a ilfattoquotidiano.it è proprio chi ha firmato l’emendamento della discordia. Due righe su “un’idonea tariffa per i proprietari delle biciclette e dei veicoli a pedali adibiti al trasporto” e sulla “identificazione delle biciclette stesse nel sistema informativo del Dipartimento per i trasporti”, che hanno scatenato un putiferio. Perché dietro la formula di modifiche al Codice della strada si celerebbe l’intenzione del governo di tassare le bici. Gli appassionati di tutta Italia si sono mobilitati su internet, tempestando di commenti l’account Twitter del firmatario e creando un hashtag (#labicinonsitocca) che è diventato subito trending topic. E probabilmente proprio la protesta massiccia è alla base della precisazione da parte di Filippi.
“Il documento è stato scritto male. Non è mio, mi è stato girato dagli uffici legislativi perché lo presentassi, ma effettivamente può generare confusione”, ammette. “Mi dispiace che si sia creato un caso sul nulla, forse qualcuno ha voluto fare polemiche gratuitamente. Ci saranno questioni spinose nella riforma del Codice della strada, ma non è certo questo il caso. Il Pd – aggiunge – vuole incentivare e non scoraggiare l’incentivo della bicicletta. Io personalmente ne ho due a casa, ho fatto l’assessore alla Mobilità e amo pedalare. Sono il primo a dire che la bici non si tocca”.
“Partiamo da un presupposto: l’obiettivo del provvedimento è combattere i furti delle biciclette, che in certe città sono ormai fuori controllo. E lo strumento migliore è l’identificazione del mezzo, che scoraggia il furto e soprattutto permette al legittimo proprietario di reclamare l’oggetto una volta ritrovato”, ribadisce il senatore democratico, ricordando che “il progetto del governo segue due direttive: da una parte la lotta al business delle bici rubate, dall’altra la regolamentazione di attività commerciali svolte sulle due ruote, che fin qui sfruttano dei vuoti normativi”. Negando vigorosamente che chi usa la bici per andare a lavoro, o semplicemente per piacere, dovrà pagare qualcosa: “Assolutamente no e se questo fosse l’esito dell’emendamento sarei pronto a stracciarlo domani. Vogliamo combattere i furti e stiamo pensando ad un sistema di marchio del telaio non rimovibile e magari ad un registro delle bici. Tutto questo ovviamente ha un costo di cui non può farsi carico lo Stato, ma sarà solo su base volontaria. Chi vuole, perché magari ha una bici pregiata, potrà farlo, altrimenti nessuna tassa”.