La Digos di Brescia, insieme al Dipartimento centrale di polizia di prevenzione del Viminale e alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dna), ha inaugurato con l’operazione “Van Damme” una nuova strategia nelle indagini sui reati connessi al terrorismo. Non più lunghe e complesse indagini, con il rischio di vedersi respingere le misure cautelari in sede di convalida, come avvenuto nel caso dei sette sospetti jihadisti scarcerati due settimane fa dal gip a Merano o l’espulsione di quattro cittadini marocchini a Bologna il cui arresto era stato respinto dal giudice.

Per far fronte alle nuove norme che impongono per l’arresto il “rischio attuale”, introdotte nella riforma della custodia cautelare voluta dal governo Renzi e approvata nell’aprile scorso (legge 47 del 2015), la polizia italiana cerca strumenti “più veloci, preventivi, che permettono di mettere il soggetto in stato di monitoraggio”, spiegano a ilfattoquotidiano.it fonti della Digos di Brescia che hanno curato l’inchiesta insieme alle autorità del Kosovo. “Le misure scelte insieme alla Direzione nazionale antimafia e agli uffici centrali del Viminale, come la nuova misura di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, applicata a Vicenza, sono relative a un giudizio di pericolosità, non di colpevolezza. Siamo un passo prima della contestazione di un reato”.

Le indagini, partite da alcune informative dei servizi segreti che indicavano “segnali concreti di pericolosità” a carico di un gruppo di kosovari residenti in Italia il cui capo viveva a Chiari, nel bresciano, sono state gestite rapidamente insieme al Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casat) scegliendo l’adozione di strumenti più snelli ed efficaci: “Una via di mezzo rispetto alla contestazione di un reato: c’è un sospetto, un dubbio, occorre comunque intervenire subito e intanto salvare le indagini, lasciando che proseguano”: per questo è stata scelta nei confronti di un cittadino kosovaro residente a Vicenza – per la prima volta dalla sua approvazione – la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, richiesta dal Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che è ora al vaglio del Tribunale vicentino.

L’inchiesta delle autorità italiane e kosovare, che ha portato a un arresto eseguito in Kosovo dalla Direzione nazionale antiterrosimo della Kosovo Police, e a perquisizioni a Brescia, Vicenza e Perugia sfociate in un’espulsione – firmata dal Questore di Brescia – per terrorismo, un’espulsione amministrativa a carico del nipote di Samet Imishti e una misura di sorveglianza speciale, si è concentrata su quattro cittadini kosovari residenti in Italia da circa 15 anni, alcuni dei quali iscritti al gruppo Facebook “Me ose, pa ty – Hilafeti eshte rikthy!” (“Con te o senza di te il califfato è ritornato!”)” che facevano spesso la spola con il Kosovo. Nell’abitazione di Samet Imishti sono state trovate alcune armi, fucili e pistole di fabbricazione russa e jugoslava, su cui sono in corso accertamenti per tracciarne la provenienza. I dettagli dell’inchiesta, però, restano coperti per non compromettere attività ancora in corso in Kosovo, dove sarebbero circa 800 gli imam “attenzionati” dall’antiterrorismo.

A coordinare le operazioni in Italia erano presenti anche funzionari della polizia kosovara, i cui vertici hanno assicurato “anche per il futuro piena collaborazione con i Paesi democratici contro il terrosimo”. Durante gli accertamenti informatici sono stati trovati collegamenti tra il kosovaro arrestato, Samet Imishti, e il capo della brigata kosovara di Daesh in Siria, il noto terrorista Lavdrim Muhaxheri, con cui Imishti avrebbe cercato di collegarsi via chat in Siria per chiedere un incontro.

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