“Italiani, ricordatevi com’era 70 anni fa, come siamo andati d’accordo. Adesso accogliete i migranti”. Parla a ilfattoquotidiano.it Ivan J. Houston, 90 anni, di Los Angeles, veterano afroamericano pluridecorato durante la seconda guerra mondiale, quando con l’unica divisione di fanteria di colore aiutò l’Italia a liberarsi dall’oppressione nazifascista. Un’esperienza che racconta, insieme a Gordon Cohn, in Black Warriors – I buffalo soldiers e la liberazione dell’Italia lungo la Linea Gotica, edito in Italia da Maria Pacini Fazzi. “Il muro in Ungheria, i movimenti xenofobi e nazifascisti che non cessano… tutto questo mi ricorda quello che abbiamo visto negli anni Trenta con l’ascesa di Hitler, quell’odio verso le persone considerate diverse. Ma quando la gente impara a conoscersi, l’odio scompare” dice Houston. Settant’anni fa, Ivan era uno dei 15mila uomini afroamericani mandati a combattere in Italia in quella che è passata alla storia come l’unica divisione di fanteria completamente di colore che abbia calpestato il suolo europeo nella seconda guerra mondiale: la 92esima divisione, detta “la Buffalo”, dal bisonte cerchiato sulle divise dei ragazzi. Ma anche l’Isis è paragonato in queste settimane al nazismo: “Certo – risponde Ivan – ha utilizzato la sua potenza militare per sottomettere e persino annientare nazioni e popoli considerati inferiori. L’Isis usa le sue armi militari e del terrore, compreso il suicidio, per uccidere le persone che non condividono le sue convinzioni. Ci sono somiglianze e differenze. I nazisti e i fascisti volevano governare popoli conquistati. L’Isis sembra contento di uccidere le persone che non condividono le sue convinzioni”.
Ivan e i suoi commilitoni arrivarono il 23 agosto del 1944. Prima una sosta a Napoli. “Ricordo ancora quella povera gente, Dio mio, sporca, sporchissima, e ridotta alla fame, poverini”. Poi Civitavecchia, fino al fronte sul fiume Arno: con i Buffalo combatté a Pisa, Lucca, Seravezza, sull’Appennino Tosco Emiliano, a Genova, per finire in Pianura Padana. “Alcuni italiani avevano paura di noi perché eravamo diversi, la pelle era scura. Ma la maggior parte di noi ha trattato gli italiani con gentilezza, quand’era possibile li abbiamo lasciati mangiare con noi. Così siamo riusciti ad andare molto d’accordo”. Il pensiero di questo veterano, 90 anni compiuti a giugno, corre ai nuovi diversi che oggi “invadono” l’Europa. “Questi profughi di oggi arrivano da esistenze terribili, come tutti ben sappiamo, dobbiamo essere gentili con loro, capirli, e dove possibile cercare di sistemarli nei loro bisogni basilari. A loro volta, loro devono accettare la cultura europea”.
Non è facile, Houston lo sa bene. Tenere sotto controllo il razzismo è un lavoro continuo che non ammette distrazioni. “Anche noi negli Stati Uniti abbiamo ancora problemi di razzismo ma ci lavoriamo da tanti anni, non è più come una volta, quando esistevano delle leggi che proibivano qualsiasi cosa che desse adito a disordini razziali. Tornato dalla guerra – racconta – ripresi l’università, ma non ottenni l’alloggio studentesco perché ero afroamericano. Per noi era impossibile anche trovare un lavoro nel settore privato, solo nel pubblico c’era qualche possibilità. Mio fratello ha fatto le marce, è andato a Selma col dottor King, ma io no, avevo altro da fare”. Tornò dalla guerra ferito, doveva trovare un lavoro, aveva già due figlie. “Però, andato in pensione, sono stato presidente della commissione per i diritti umani della città di Los Angeles per circa 6 anni. Esaminavamo i casi di odio razziale e religioso che ci venivano sottoposti frequentemente. E’ una cosa che richiede una gestione continua da parte delle autorità, anche in Italia”.
Tra queste Ivan Houston cita la Chiesa cattolica. Come istituzione seguita da un miliardo di persone, gioca un ruolo importante. Gli appelli di Papa Francesco in favore dell’accoglienza si susseguono da mesi. “Può fare molto per facilitare la comprensione tra popoli, l’accettazione delle diversità. Alla fine siamo tutti esseri umani, solo con diverse apparenze, diverse culture”. E Houston cita l’esempio del crocifisso del Volto Santo conservato nella Chiesa di San Martino a Lucca. “Quando l’ho visto – spiega – non me ne sono accorto, ma tornando a casa ho osservato meglio la fotografia: è nero! Gesù è nero! A Los Angeles l’ho fatto vedere al mio vescovo, che l’ha mostrato a tutti i fedeli della parrocchia. Erano meravigliati, dicevano: “O mio Dio, Gesù è come noi!”.