Vassilis Tsitsanis non è stato solo un musicista greco, ma il magistrale interprete del rebetiko, con buona pace dei dogmatici polverosi che ignorano colposamente il tratto somatico del nostro: l’essere popolare. Con le corde magiche del suo bouzouky, miele dell’anima, ha cantato il ‘900 in Grecia affrescando tutte le tappe della vita e oggi il suo personaggio, proprio nell’anno del centenario della sua nascita, diventa un film nelle sale greche da domani, 3 dicembre.
Ouzerì Tsitsanis è un omaggio a quel luogo pregnante che in Grecia sono appunto le ouzerì, piccoli ristori dove accanto ad un bicchiere di ouzo si accompagnava il mezè. La porzione di cibo che si mescola al retaggio della Seconda guerra mondiale, con quella goccia di ouzo ad allietare notti buie e storie dure.
Lo stivale tedesco batte ritmicamente nelle strade greche e nel film è un elemento che emerge con forza. Ci sono gli ebrei che cantano nel coro sotto le note di Tsitsanis, c’è la povertà di un dopoguerra gravido si sofferenze per Atene, ci sono i dettagli che la regia di Manousos Manousakis ha sapientemente cesellato, sotto la guida del libro di George Skampardonis. Gli italiani, prima nemici, poi diventano compagni di viaggio, perché “diversi, con un cuore che ci hanno donato”, mi confida un cittadino greco che nel ’43 offrì un tetto al soldato italiano Mario, curandolo e proteggendolo prima che lo stesso Mario decidesse di tonare a casa ma passando per Cefalonia, che purtroppo gli fu fatale.
La fotografia del film, anch’essa pregevole, scuote le anime e crea dolore. Un grande dolore che si intreccia con l’armonia del bouzouky di Tsitsanis, per un’interessante produzione greca al cui interno c’è tutto: il razzismo dei nazisti, la violenza della guerra, il dolore delle storie, l’amore suonato dal maestro nato a Trikala, e due ore di grecità molto intensa. Salonicco nel 1942 è sotto l’occupazione tedesca, ed è anche la città in cui è vietato l’amore tra cristiani ed ebrei. Le storie di passione, avventurose e incarcerate dalla follia tedesca, trovano ristoro nella mitica Ouzeri Tsitsanis, dove il grande compositore greco sta vivendo gli anni più creativi e assembla le sue canzoni più note, tra cui la celebre “Sinefiasmeni Kiriakì” (“Nuvolosa Domenica”). Non si possono non ricordare “Ti simera ti avrio ti tora”, in cui il maestro ammette che “se non possiamo stare assieme, meglio separarci ora” oppure “Ta xena keria”, “le mani straniere” da vero precursore della troika. C’è anche Manolis Glezos alla prima ateniese del film, l’eroe ellenico che nel 1943 salì sull’Acropoli per ammainare, da solo, la bandiera nazista andando incontro ad una vita di persecuzioni e condanne.
Ma il bouzouky non è solo quello strumento che ha allietato le vite dei greci o che ha accompagnato i turisti stranieri in mille e più notti (con piatti rotti e tanta gioia). Il bouzouky è la carta di identità culturale di un modo di raccontare la vita ellenica, ansiosa come le onde del mare, tra burrasche e bonaccia, increspature e moti di rinascimento. Il trichordo e il tetrachordo disegnano traiettorie musicali, che incensano notti e vite perché hanno raccontato la cosa più importante che c’è: la vita, attraverso un secolo intero di amori e delusioni, gioie e massacri, amicizie e pietre miliari dell’esistenza umana. Tsitsanis è stato quel pezzo di grecità che ha caratterizzato il paese e se oggi fosse ancora tra noi certamente non mancherebbe di dedicare note e strofe alla tragica crisi euro mediterranea che stiamo vivendo. Con buona pace di chi degrada a retorica il racconto di emozioni pure che ci stiamo disabituando ad alogiare.
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