In procura della Repubblica a Bologna c’è da un mese l’esposto di un oppositore politico in cui si adombra l’ipotesi del reato di riciclaggio contro Bilal Erdoğan, il figlio di Recep Tayyip (nella foto), presidente della Turchia. Bilal è salito agli onori delle cronache mondiali in queste ultime ore perché al centro delle accuse che la Russia ha mosso nei confronti di Ankara: accuse che vanno a toccare in particolare la famiglia Erdoğan che, secondo il Cremlino, farebbe affari con il petrolio iracheno e siriano venduto dall‘Isis.
Bilal, 35 anni, era arrivato a Bologna con la sua famiglia la scorsa estate, ufficialmente per riprendere gli studi alla Johns Hopkins University, un dottorato cominciato nel 2007. Ma secondo alcune voci degli oppositori a Erdoğan – e secondo quanto poi riportato nello stesso esposto presentato in procura – il giovane era volato in Italia a fine settembre “con importanti somme di denaro” nell’ambito di un presunto “progetto di fuga in vista del voto anticipato del prossimo primo novembre”. Le elezioni poi erano in realtà andate bene per suo padre, ma Bilal aveva comunque precisato in una intervista di essere arrivato in Italia solo per studiare: “Solo i codardi scappano. Sono arrivato in Italia il 30 agosto e ho iniziato a studiare. Sono in Italia solo per il mio dottorato. Quando finirò – aveva detto il figlio del ‘sultano’ – ritornerò nel mio paese e vivrò là fino al mio ultimo respiro. Completerò la mia tesi in un anno e mezzo o due anni e tornerò in Turchia”.
L’esposto presentato alla procura di Bologna il 24 ottobre scorso è stato sottoscritto da un facoltoso imprenditore turco, rifugiato politico in Europa, e prende spunto proprio dalle accuse per quelle presunte “somme di denaro” portate in Italia. L’uomo è assistito dall’avvocato Massimiliano Annetta di Firenze e preferisce l’anonimato per ragioni di sicurezza. Si considera vittima di “un vero e proprio accanimento politico e giudiziario nei confronti della sua famiglia da parte del primo ministro Erdoğan il cui potere – si legge nell’esposto – nelle istituzioni turche è divenuto sempre più pervasivo”. Una “persecuzione”, spiega l’imprenditore, che sarebbe dovuta all’impegno politico della sua famiglia contro il partito di Erdoğan Akp e che, tramite diversi processi penali costruiti ad hoc, avrebbe portato alla confisca da parte dello stato turco di un impero economico con migliaia di dipendenti.
Ma nel documento portato ai magistrati bolognesi c’è di più. Bilal Erdoğan si sarebbe presentato a Bologna con un folto contingente armato di guardie del corpo, cui non sarebbe stato consentito l’ingresso in Italia da parte delle autorità; in poche ore sarebbe quindi arrivato a questi il conferimento di passaporti diplomatici turchi. Secondo l’accusa riportata nell’esposto, si tratterebbe di una prova dello “stato di asservimento delle istituzioni turche agli interessi personali della famiglia Erdoğan ”.
Tra i magistrati emiliani c’è uno stretto riserbo. “La Procura non ha nulla da dire sulla vicenda”, ha risposto il procuratore aggiunto Valter Giovannini. In patria Bilal a fine 2013 era finito coinvolto in un grosso scandalo giudiziario ribattezzato “la tangentopoli sul Bosforo”. Fu sentito dai magistrati e fu protagonista di alcune intercettazioni telefoniche con suo padre che rischiarono di compromettere seriamente l’immagine di Erdoğan e del suo partito Akp.