Trasmissione, X Factor 2015

“Ha spaccato”, “la sua performance spacca”, “vai e spacca!”, “secondo me lei spacca”. Ultimamente nel mondo artistico, in particolare in quello musicale, spopola il termine “spaccare”. Al punto che ha rimpiazzato qualsiasi altro commento positivo, come “è stata molto convincente”, “è stata grandiosa”, “ha impressionato”. Non c’è nulla di strano nell’emergere di nuove espressioni o nel trovare nuovi modi di usare una parola. Ciò che invece è singolare è come un termine come “spaccare”, che di per sé indica rottura, divisione, un qualche shock rispetto a delle forme costituite, sia diventato sinonimo di “ha convinto tutti”.

“Spaccare” va fortissimo in contesti come i talent show. Chi “spacca di più” è di solito la persona che convince maggiormente i giudici, o stravince al televoto. “Spacca” chi offre al pubblico il prodotto che vuole di più, chi rientra al meglio nei canoni della gara o della trasmissione, in sostanza chi si avvicina maggiormente a quello che tutti si aspettano da un artista in una determinata situazione. Tutte cose che sono l’esatto contrario di “spaccare”.
Quando intorno agli anni sessanta dell’Ottocento Édouard Manet sottopose Il bevitore di assenzio all’Accademia di Belle Arti di Parigi sicuramente “spaccò”. I membri del celebre consesso si aspettavano che gli artisti attingessero dalla mitologia o dal repertorio delle immagini classiche per la scelta dei loro soggetti. E invece Manet gli rifilò un signore ubriaco appoggiato a un muro con un bicchiere pieno e la bottiglia abbandonata per terra. Ovviamente l’opera non piacque affatto e fu respinta. Poco dopo Manet ci riprovò con Colazione sull’erba. E andò anche peggio. Una scena in cui due uomini della sua Parigi guardavano una ragazza senza vestiti seduta sull’erba. Il pittore francese portò il nudo fuori dal mondo classico e direttamente nella sua epoca. Anche questa seconda opera fu respinta.

Sicuramente “spaccare” non richiede per forza un iniziale rifiuto da parte di critica e pubblico. Ma per “spaccare” bisogna però proporre qualcosa che colga di sorpresa, che forzi le aspettative che si sono create, anche se ciò poi suscita un’acclamazione immediata. Bob Dylan, ad esempio, intorno alla metà degli anni sessanta del secolo passato sfidò apertamente il suo pubblico quando decise di passare dal folk al rock elettrico. Ma vendette un sacco di copie. Anche la musica grunge agli inizi degli anni novanta probabilmente “spaccava”. Dopo poco è diventata un fenomeno planetario, ma se pensiamo che si sviluppa dalle ceneri della scena rock patinata del decennio precedente, è chiaro che il suo intento originario era di forte rottura.

Chi si presenta di fronte a dei giudici per convincerli a concedergli il passaggio di un turno, o chi accetta di sottoporsi a un televoto lampo, o chi si affida a persone che gestiscano la sua immagine, i suoi impegni, le sue uscite televisive, affinché la sua arte si concretizzi nel maggior numero possibile di transazioni economiche, fa tutto tranne che “spaccare”. Ed è ironico che in un momento storico in cui non “spacca” più nessuno si registri il più alto tasso di “spaccatori” percepiti, almeno a parole.

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