La prima vera vittima immediata dei raid in Siria contro l’Isis autorizzati dal parlamento britannico di Westminster? Chiaramente, è il principale partito di opposizione del Regno Unito, il Labour, guidato dal 66enne parlamentare di Islington e noto pacifista, Jeremy Corbyn. Un partito che con il voto che si è tenuto in parlamento nella sera di mercoledì 2 dicembre non si è spaccato completamente, aprendo tuttavia la strada a una profonda crisi interna.
E’ un partito di certo assai meno ‘guerrafondaio’ rispetto al 2003, quando autorizzò con una schiacciante maggioranza l’intervento in Iraq voluto dall’allora premier – laburista – Tony Blair, dando il via immediatamente alle più grandi proteste di piazza mai viste a Londra e in Gran Bretagna e soprattutto a una guerra lunga e difficile. Il Labour che è uscito dal voto del 2 dicembre, però, è una formazione sicuramente affaticata, sottolineano ora analisti e commentatori, non ancora annientata dalla lotta interna che ruota attorno allo stesso Corbyn da settimane ma nemmeno forte nell’opposizione all’intervento in Siria che è invece comune alla base del partito. Quella base, giovane e pacifista, che nelle primarie della scorsa estate portò il parlamentare di Islington a diventare leader lo scorso 12 settembre. E che ora non potrà che pensare con dolore a quei parlamentari laburisti che hanno votato insieme ai conservatori per bombardare il sedicente “Stato islamico” nel Paese dove è più presente.
Video di Gisella Ruccia
Intervenendo prima del voto, a Westminster, a farsi portavoce del dissenso interno, paradossalmente, è stato proprio un uomo forte dell’entourage di Corbyn. Hilary Benn, ministro ombra degli Esteri, quindi scelto dal leader laburista per il suo ‘cabinet’ decisionale, ha appoggiato apertamente la mozione del premier conservatore David Cameron per il via libera ai raid. Benn ha votato sì, difendendo Corbyn a parole ma appoggiando le azioni di guerra. Criticando inizialmente un’affermazione del premier, che aveva praticamente accusato gli oppositori ai raid di sostenere moralmente il terrorismo, Benn ha detto che “Corbyn non è un simpatizzante dei terroristi, ma è un uomo onesto”. Un colpo al cerchio e uno alla botte, quindi, con il sostegno all’immagine di Corbyn ma anche con la convinzione che “dobbiamo confrontarci ora con il male e con il terrorismo, dobbiamo sostenere l’intervento in Siria”.
I 650 parlamentari della Camera dei Comuni, così, hanno potuto dire la loro. Un voto che, va detto, molto probabilmente non sarebbe arrivato senza gli attentati che lo scorso 13 novembre hanno insanguinato Parigi. Per settimane l’interventismo di Cameron è infatti stato messo a tacere dalla possibilità di non avere una maggioranza schiacciante alla Camera dei Comuni e lo stesso premier si è rifiutato per lungo tempo di avere un’altra sconfitta in parlamento, dopo che nel 2013 una missione in Siria – ma quella volta contro il presidente Bashar Al-Assad – fu clamorosamente bocciata dalla stessa sua maggioranza.
Negli ultimi giorni, tuttavia, la certezza: l’emozione per quanto successo in Francia e soprattutto le pressioni internazionali, in arrivo da Regno Unito, Stati Uniti d’America e in ultimo anche dalla Germania, avevano fatto breccia nelle intenzioni dei parlamentari ed era così diventato chiaro che a Westminster il voto sarebbe stato sicuramente a favore. Poco contano nel Regno Unito la sostanziale opposizione della Chiesa Anglicana, della società civile progressista e la possibilità che si abbiano nuove proteste di piazza. Anche gli ultimi sondaggi hanno mostrato come almeno il 60% dei britannici sia favorevole ai raid. E con il supporto dei parlamentari, le cose si sono messe decisamente a favore delle volontà di Cameron.
Che il Regno Unito sia uno dei target principali dell’Isis, del resto, è cosa nota. In una Londra che ancora non ha metabolizzato le stragi nella metropolitana e sugli autobus del 7 luglio 2005, con 56 morti e 700 feriti gravi, del resto l’allerta è sempre stata altissima negli ultimi mesi. Ormai in città non si contano più falsi allarmi bomba, evacuazioni (nella giornata del primo dicembre hanno interessato anche il quartier generale della Bbc) e arresti di presunti o veri jihadisti.
Secondo il governo, almeno sette attentati “importanti” sono stati sventati nell’ultimo anno, anche se le prove di queste macchinazioni non sono state illustrate chiaramente. Ecco così che il Regno Unito si è ritrovato, nel voto del 2 dicembre, quasi compatto a favore dei raid voluti da Cameron. La maggioranza, ora, fra l’altro, è riuscita anche nel suo intento principale, al di là del contrasto al terrorismo: mettere il silenziatore a quel Labour che dopo l’elezione del pacifista Corbyn, ufficializzata meno di tre mesi fa, aveva dato molto da pensare – e da sudare – al Tory Cameron e ai suoi sodali. Ma ora il partito laburista è stato messo a tacere anche grazie ai 67 suoi stessi parlamentari che hanno votato a favore dei raid. Si vada pure alla guerra, il governo di sua maestà è pronto.
Mondo
Isis, il sì di Londra ai raid in Siria spacca il Labour del pacifista Corbyn
Sono stati 67 su 232 i parlamentari laburisti che hanno votato a favore dei bombardamenti. Così la maggioranza di Cameron ha raggiunto il suo obiettivo principale, al di là del contrasto al terrorismo: causare una crisi nello schieramento avversario che, dopo l'elezione a leader del politico di Islington, sembrava rigenerato
La prima vera vittima immediata dei raid in Siria contro l’Isis autorizzati dal parlamento britannico di Westminster? Chiaramente, è il principale partito di opposizione del Regno Unito, il Labour, guidato dal 66enne parlamentare di Islington e noto pacifista, Jeremy Corbyn. Un partito che con il voto che si è tenuto in parlamento nella sera di mercoledì 2 dicembre non si è spaccato completamente, aprendo tuttavia la strada a una profonda crisi interna.
E’ un partito di certo assai meno ‘guerrafondaio’ rispetto al 2003, quando autorizzò con una schiacciante maggioranza l’intervento in Iraq voluto dall’allora premier – laburista – Tony Blair, dando il via immediatamente alle più grandi proteste di piazza mai viste a Londra e in Gran Bretagna e soprattutto a una guerra lunga e difficile. Il Labour che è uscito dal voto del 2 dicembre, però, è una formazione sicuramente affaticata, sottolineano ora analisti e commentatori, non ancora annientata dalla lotta interna che ruota attorno allo stesso Corbyn da settimane ma nemmeno forte nell’opposizione all’intervento in Siria che è invece comune alla base del partito. Quella base, giovane e pacifista, che nelle primarie della scorsa estate portò il parlamentare di Islington a diventare leader lo scorso 12 settembre. E che ora non potrà che pensare con dolore a quei parlamentari laburisti che hanno votato insieme ai conservatori per bombardare il sedicente “Stato islamico” nel Paese dove è più presente.
Intervenendo prima del voto, a Westminster, a farsi portavoce del dissenso interno, paradossalmente, è stato proprio un uomo forte dell’entourage di Corbyn. Hilary Benn, ministro ombra degli Esteri, quindi scelto dal leader laburista per il suo ‘cabinet’ decisionale, ha appoggiato apertamente la mozione del premier conservatore David Cameron per il via libera ai raid. Benn ha votato sì, difendendo Corbyn a parole ma appoggiando le azioni di guerra. Criticando inizialmente un’affermazione del premier, che aveva praticamente accusato gli oppositori ai raid di sostenere moralmente il terrorismo, Benn ha detto che “Corbyn non è un simpatizzante dei terroristi, ma è un uomo onesto”. Un colpo al cerchio e uno alla botte, quindi, con il sostegno all’immagine di Corbyn ma anche con la convinzione che “dobbiamo confrontarci ora con il male e con il terrorismo, dobbiamo sostenere l’intervento in Siria”.
I 650 parlamentari della Camera dei Comuni, così, hanno potuto dire la loro. Un voto che, va detto, molto probabilmente non sarebbe arrivato senza gli attentati che lo scorso 13 novembre hanno insanguinato Parigi. Per settimane l’interventismo di Cameron è infatti stato messo a tacere dalla possibilità di non avere una maggioranza schiacciante alla Camera dei Comuni e lo stesso premier si è rifiutato per lungo tempo di avere un’altra sconfitta in parlamento, dopo che nel 2013 una missione in Siria – ma quella volta contro il presidente Bashar Al-Assad – fu clamorosamente bocciata dalla stessa sua maggioranza.
Negli ultimi giorni, tuttavia, la certezza: l’emozione per quanto successo in Francia e soprattutto le pressioni internazionali, in arrivo da Regno Unito, Stati Uniti d’America e in ultimo anche dalla Germania, avevano fatto breccia nelle intenzioni dei parlamentari ed era così diventato chiaro che a Westminster il voto sarebbe stato sicuramente a favore. Poco contano nel Regno Unito la sostanziale opposizione della Chiesa Anglicana, della società civile progressista e la possibilità che si abbiano nuove proteste di piazza. Anche gli ultimi sondaggi hanno mostrato come almeno il 60% dei britannici sia favorevole ai raid. E con il supporto dei parlamentari, le cose si sono messe decisamente a favore delle volontà di Cameron.
Che il Regno Unito sia uno dei target principali dell’Isis, del resto, è cosa nota. In una Londra che ancora non ha metabolizzato le stragi nella metropolitana e sugli autobus del 7 luglio 2005, con 56 morti e 700 feriti gravi, del resto l’allerta è sempre stata altissima negli ultimi mesi. Ormai in città non si contano più falsi allarmi bomba, evacuazioni (nella giornata del primo dicembre hanno interessato anche il quartier generale della Bbc) e arresti di presunti o veri jihadisti.
Secondo il governo, almeno sette attentati “importanti” sono stati sventati nell’ultimo anno, anche se le prove di queste macchinazioni non sono state illustrate chiaramente. Ecco così che il Regno Unito si è ritrovato, nel voto del 2 dicembre, quasi compatto a favore dei raid voluti da Cameron. La maggioranza, ora, fra l’altro, è riuscita anche nel suo intento principale, al di là del contrasto al terrorismo: mettere il silenziatore a quel Labour che dopo l’elezione del pacifista Corbyn, ufficializzata meno di tre mesi fa, aveva dato molto da pensare – e da sudare – al Tory Cameron e ai suoi sodali. Ma ora il partito laburista è stato messo a tacere anche grazie ai 67 suoi stessi parlamentari che hanno votato a favore dei raid. Si vada pure alla guerra, il governo di sua maestà è pronto.
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Ramallah, 13 mar. (Adnkronos) - Secondo la Società dei prigionieri palestinesi e la Commissione per gli affari dei prigionieri ed ex prigionieri, almeno 25 palestinesi sono stati arrestati dalle forze israeliane durante le ultime incursioni nella Cisgiordania occupata. Tra gli arrestati ci sono una donna e diversi ex prigionieri, si legge nella dichiarazione congiunta su Telegram. Aumentano gli arresti a Hebron, dove secondo l'agenzia di stampa Wafa oggi sono state arrestate 12 persone, tra cui 11 ex prigionieri.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Non c'è stato l'affidamento da parte del governo di infrastrutture critiche del Paese a Starlink" e "come già rassicurato dal presidente Meloni ogni eventuale ulteriore sviluppo su questa questione sarà gestito secondo le consuete procedure". Lo ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani in Senato rispondendo a una interrogazione del Pd.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - Per quel che riguarda il piano 'Italia a 1 giga', "con riferimento alle aree più remote, il governo sta valutando con Starlink e altri operatori l'ipotesi di integrazione della tecnologia satellitare come complemento alle infrastrutture esistenti". Lo ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani rispondendo in Senato a una interrogazione del Pd.
"Nel caso specifico di Starlink, sono in corso delle interlocuzioni con alcune regioni italiane - del nord, del centro e del sud - per sperimentare la fornitura di un 'servizio space-based' rivolto ad aree remote o prive di infrastrutture terrestri. In ogni caso, si ribadisce che non sono stati firmati contratti nè sono stati conclusi accordi tra il governo italiano e la società Space X per l'uso del sistema di comunicazioni satellitari Starlink per coprire le aree più remote del territorio", ha chiarito Ciriani.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Presso la presidenza del Consiglio non è stato istituito alcun tavolo tecnico operativo per lo studio della concessione a Starlink della gestione delle infrastrutture di connessione e telecomunicazione delle sedi diplomatiche italiane o delle stazioni mobili delle navi militari italiane". Lo ha detto il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani rispondendo al Senato a una interpellanza del Pd.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Credo che l'esperienza viva possa essere più forte di qualunque altro elemento: io da giovane sono stata vittima di violenza, ho avuto un fidanzato che non capiva il senso del no". Lo ha detto in aula alla Camera la deputata del M5s Anna Laura Orrico, nel dibattito sulla Pdl sulle intercettazioni e in particolare sull'emendamento sul limite all'uso delle intercettazioni stesse.
"Quando l'ho lasciato ha iniziato a seguirmi sotto casa, si faceva trovare dietro gli angoli del mio quartiere. Venti anni fa non si parlava di violenza contro le donne, non c'era nessun meccanismo di prevenzione nè strumenti per agire -ha proseguito Orrico-. Il mio appello alla Camera è di sostenere questo emendamento, oggi gli strumenti ci sono ma non sono sufficienti. Le intercettazioni sono tra questi strumenti e nessuna donna è tutelata se non è consapevole".
Tel Aviv, 13 mar. (Adnkronos) - "Il rapporto delle Nazioni Unite che afferma che Israele ha compiuto 'atti di genocidio' e ha trasformato la 'violenza sessuale' in un'arma come strategia di guerra non è solo ingannevolmente falso, ma rappresenta anche un nuovo, vergognoso punto basso nella depravazione morale delle Nazioni Unite". Lo ha scritto su X il parlamentare israeliano dell'opposizione Benny Gantz, aggiungendo che il rapporto diffonde "calunnie antisemite e fa il gioco di terroristi assassini".
Washington, 13 mar. (Adnkronos/Afp) - Gli attacchi "sistematici" di Israele alla salute sessuale e riproduttiva a Gaza sono "atti genocidi". Lo ha affermato una commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite. “La Commissione ha scoperto che le autorità israeliane hanno parzialmente distrutto la capacità dei palestinesi di Gaza – come gruppo – di avere figli, attraverso la distruzione sistematica dell’assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva, che corrisponde a due categorie di atti genocidi”, ha affermato l'Onu in una nota. Israele “respinge categoricamente” queste accuse, ha indicato la sua ambasciata a Ginevra (Svizzera).