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La Siria è un territorio privilegiato per comprendere cosa sta accadendo nel mondo arabo, questo perché è un Paese a maggioranza sunnita, ma il presidente Bashar Al Assad fa parte di una frangia degli sciiti, mentre le forze “rivoluzionarie” che si oppongono al suo regime sono sunnite. Il primo quindi è appoggiato da Paesi sciiti come l’Iran e dagli Hezbollah libanesi, i secondi da Paesi sunniti come Qatar, Arabia Saudita e dal famigerato Isis.

Il mondo mussulmano si divide in questi due principali rami: sunniti e sciiti. I primi sono la maggioranza, circa l’85% e si ritengono più tradizionalisti rispetto agli sciiti. I due rami si formarono all’indomani della morte di Maometto nel 632 dc. L’antagonismo nasce dalla decisione sulla persona a cui concedere lo scettro della successione. I sunniti erano propensi che a succedere Maometto fosse Abu Bakr, suo suocero. Gli sciiti, invece, ritenevano che l’eredità dovesse andare a un consanguineo di Maometto, addirittura, tale minoranza, reputava che fosse stato lo stesso profeta a individuare in Ali, suo genero nonché cugino, il suo successore.

Entrambe le fazioni condividono i cinque pilastri fondamentali dell’Islam che, in sintesi, sono:

1) (Shahadatein) Maometto è l’ultimo profeta di un unico Dio, Allah;

2) Salah, ovvero l’obbligo di 5 preghiere quotidiane;

3) Zakah, l’offerta di una percentuale (2,5%) del proprio stipendio annuo ai poveri;

4) Siam vale a dire il digiuno mensile, noto come ramadan;

5) Hajj che è l’obbligo per tutti coloro che possono permetterselo di recarsi in pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita.
Dal 632 in poi questi due grandi rami dell’Islam sono, in linea di massima, coesistiti. Una data che ruppe gli equilibri fu il 1979, ma la ragione della rottura fu politica più che religiosa. In Iran nel 1979, la rivoluzione khomeinista causò l’espulsione dello scià iraniano filo-americano. Fu istituita una teocrazia islamica, sciita, che si opponeva ai Paesi del Golfo Persico a maggioranza sunnita.
Questo equilibrio precario fu rotto definitivamente dalle bombe americane con l’occupazione americana dell’Iraq di Saddam, un sunnita in un Paese a maggioranza sciita. Quello che è successo è oramai noto: con il pretesto delle armi di distruzione di massa, armi mai trovate, si occupò il Paese e si assassinò Saddam colpevole di essere restio a concedere il petrolio alle multinazionali occidentali. In altre parole, con le guerra delle “democrazie” occidentali all’Iraq è stato come dare un pugno ad un alveare. Ora ci si lamenta che qualche ape ci vuole pungere il deretano. L’intromissione imperialista made in Usa ha generato nel Medio Oriente una guerra di religione simile a quella dei trent’anni che noi in Europa abbiamo vissuto nel XVII° secolo.

Ma la storia ci insegna che le guerre sono sempre generate da velleità di élite, anche se poi a pagarne il conto sono sempre i popoli. Ebbene la realtà è che la religione è solo un pretesto, l’unico Dio è il profitto. Le élite russe, occidentali, dell’Arabia Saudita, del Qatar etc. etc., che vivono nel lusso estremo hanno come unico fine il controllo del petrolio in Iraq e del gas e della droga in Afganistan. Nonostante la presenza degli eserciti la produzione e l’esportazione di oppio è schizzata nuovamente in su rispetto al tempo del Mullah Omar che si era permesso di proibirne la coltivazione.

L’isis filo-sunnita ora rappresenta un problema perché si sta appropriando del petrolio. L’aveva pronosticato uno dei maggiori sostenitori della guerra in Iraq, Dick Cheney, il vice-presidente Usa dirigente della Halliburton, la nota multinazionale del petrolio. La sua affermazione, dopo anni di silenzio, nel giugno del 2014, fu chiara: “I miei pensieri e le mie preghiere sono per i pozzi di petrolio iracheni”. I pozzi di petrolio stavano sfuggendo dal controllo. Una preoccupazione reale. Dopo che i soldati Usa lasciarono l’Iraq, poco alla volta, sempre più petrolio finiva nelle mani dell’Isis, ovvero degli stessi individui usati strumentalmente per attaccare Assad.

In Siria si sono annodati più interessi. I russi vogliono continuare ad essere influenti, la Turchia, anche se fa parte della Nato, vuol fermare l’avanzata dei curdi sebbene quest’ultimi siano in prima linea contro l’Isis, gli Usa ora sono favorevoli ad attaccare coloro che prima appoggiavano in chiave anti Assad. E l’Italia? L’Italia, come da tradizione, aspetta. Intanto continua a far lucrosi affari con quell’Arabia che finanzia l’Isis, considerato il male assoluto. Mentre i popoli aizzati dalla propaganda mediatica si ammazzano per quale Dio abbia la barba più lunga, le élite si spartiscono gli introiti di petrolio, gas e droga.
La storia è sempre la stessa.

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