Caro preside, cari politici e genitori,
scusate se vi disturbo mentre vi state azzuffando per me ma volevo dire anch’io la mia.
E’ da duemila anni che si festeggia la mia nascita e negli ultimi tempi sembra essere diventata un problema. Più che unire ora vi divido. Ma siete così sicuri che mi interessino i vostri canti? Natale è solo un brindisi, il taglio del panettone, i lavoretti, il Tu scendi dalle stelle cantato dai vostri bambini mentre scattate quelle immemorabili fotografie del piccolo che alla recita è sicuramente il più bravo? Serve a voi grandi o serve ai bambini questa festa?
Ho letto che da giorni l’Italia intera discute se è giusto o meno festeggiare il Natale a scuola, ma forse dovremmo tornare a chiederci cos’è il Natale?
Non voglio pensare che senza pandoro al cioccolato, regali, dolci nenie e stelline, non si riconosca più il senso del mio essermi fatto carne tra voi. Non credevo nemmeno, sinceramente, di essere venuto sulla terra solo perché un giorno avreste potuto, grazie a me, affermare un’identità. L’unica identità che conosco è quella umana.
Spero che il ricordo della mia nascita non sia solo tradizione, recite e presepi. Sono convinto pure io di non essere troppo di disturbo ai nostri fratelli musulmani, ai buddisti, agli induisti. Ho letto, tra l’altro, che ora il paladino del Natale è quel signore che si chiama Matteo Salvini che vorrebbe le ruspe contro le grotte del giorno di oggi, senza accorgersi che io son nato in un luogo simile a quelle baracche proprio perché nessuno mi ha voluto: ero un profugo.
A difendere il Natale ci ha pensato anche quell’altro tizio, Roberto Formigoni, che non mi risulta essere uno stinco di santo. Come sono finito male!
A Rozzano hanno fatto presidi davanti alla scuola ma vi prego, lasciate in pace i bambini. Ve lo immaginate un presidio davanti alla capanna di Betlemme?
Forse, care mamme e caro preside, sarebbe stato utile a tutti sedersi e chiedersi: come possiamo dare un senso ancora al Natale, anche in una scuola?
Se per quei genitori è davvero importante celebrare la mia nascita, portare la mia Parola in un’aula, farla ascoltare e vivere anche a fratelli di religione diversa (magari festeggiando poi una loro festa), perché non provare a fare qualcosa di diverso da qualche canto e un lavoretto? Magari la semplice condivisione, nei giorni prenatalizi, di un tempo con gli anziani della casa di riposo; la visita ad una casa d’accoglienza. Perché sia davvero Natale, se ci credete e non una spruzzata di buonismo e folclore.
Permettetemi di suggerirvi la lettura di un testo che un uomo che ha davvero vissuto il Natale ha scritto per voi qualche anno fa. Si chiamava don Tonino Bello.
Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio. Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa. Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro. Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame. I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative. I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge ”, e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi. Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.
Gesù Bambino.
Ps: sia chiaro che l’autore di questa fantasiosa lettera è faticosamente ateo, crede nella laicità della scuola e nel rispetto di ogni cultura, anche quella cattolica cristiana.