I mercati finanziari e i ribassisti che hanno piazzato le loro scommesse sull’euro debole nei confronti del dollaro, sono rimasti profondamente delusi. Il presidente della Bce, Mario Draghi, stavolta non tiene fede alla sua celebre espressione “whatever it takes”, quando nel 2011 il governatore promise qualsiasi intervento possibile pur di salvare l’euro dalla crisi dei debiti sovrani che portò l’eurozona sull’orlo del crollo. Dopo il meeting di giovedì scorso della Bce, in molti si aspettavano uno stimolo monetario molto più massiccio di quello attuale che prevede l’acquisto di bond per un importo di 60 miliardi di euro al mese. Gli investitori credevano che il board della Bce avrebbe immesso ancora più liquidità per l’acquisto dei titoli di Stato e avevano previsto all’unanimità una svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro. Da quando è iniziato il Quantitative Easing, il cambio euro-dollaro ha cominciato a deprezzarsi a vantaggio della moneta statunitense e aveva quasi raggiunto il suo minimo annuale del marzo 2015 quando toccò quota 1,048 $.
La decisione di estendere la politica monetaria del QE fino al marzo 2017 e il taglio di 10 punti base sul tasso dei depositi della Bce che ora si attesta a -0,3%, delude le aspettative degli speculatori che si aspettavano un taglio di 20 punti e un potenziamento della politica di stimolo che fino ad ora aveva contribuito a indebolire l’euro. Solamente nella settimana precedente la riunione del board della Bce, erano stati piazzati 175,484 contratti che scommettevano su un ulteriore indebolimento dell’euro, e questo ha contribuito a spiazzare banche come ABN Amro AV, Commerzbank AG e DZ Bank AG. Dopo il meeting di giovedì, infatti, l’euro è arrivato a essere scambiato a 1,0940 $, apprezzandosi del 3% contro il dollaro. Una scelta, quella della Bce che ha contraddetto le previsioni dei maggiori analisti del settore, a cominciare da Goldman Sachs che aveva pronosticato la parità di cambio tra le due valute, fino a prevedere un sorpasso del dollaro nel 2016.
Il Quantitative Easing e l’euro debole
Cosa ha determinato il cambio di strategia dell’Eurotower? Uno degli effetti indiscussi dell’acquisto dei bond, oltre all’abbassamento del rendimento dei titoli del debito, è quello di deprezzare la moneta del paese che si serve di questo strumento di politica monetaria. Nel caso in questione le banche centrali introducono liquidità nei mercati finanziari per comprare i titoli del debito pubblico, che di conseguenza offrono tassi di interesse sempre meno remunerativi. Questo tipo di politica implica una tendenza ribassista sulla valuta del paese che la pratica. Questo era senza dubbio uno degli effetti voluti dalla Bce, dal momento che la principale leva della lieve crescita dell’eurozona è determinata dalle esportazioni, e le stime al rialzo sulla crescita dell’economia italiana che l’Ocse ha pubblicato nell’ultimo Economic Outlook, ipotizzano un rialzo del 1,4% del PIL nel 2016. Il deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro è stato dunque tra le principali cause della crescita economica che si è riscontrata fino ad ora, che si sostiene grazie all’aumento delle esportazioni. Fu così a parti invertite nel 2009, quando la Fed decise di acquistare 300 milioni di dollari del debito USA per stimolare l’economia, e in quel caso il dollaro si deprezzò del 3,5% nei confronti dell’euro.
Per l’eurozona il problema è più complicato, dal momento che l’economia dei paesi membri della moneta unica si trova nel terreno della deflazione che si attesta allo 0,1%, ben lontana dall’obiettivo del traguardo prefissato a gennaio del 2%. Gli analisti della Bce infatti hanno rivisto al ribasso le stime di crescita dell’inflazione che dovrebbe toccare quota 1,7% solamente nel 2017. Se dunque si riduce l’utilizzo di questo strumento di politica monetaria con ogni probabilità l’euro tornerà ad apprezzarsi sul dollaro, con gli effetti deleteri sulla crescita dell’inflazione, che da due anni a questa parte si cerca di portare disperatamente vicino alla soglia dell’1%.
La teoria dell’uomo solo al comando, che vedrebbe Draghi disporre completamente della politica monetaria dell’Eurotower, subisce un duro colpo, perché a quanto pare il Governatore ha ceduto alle pressioni tedesche di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank e di Sabine Lautenschläger, membro tedesco del board della banca centrale, che si sono opposti fermamente a un taglio più consistente del tasso di deposito e ad un potenziamento del QE. Non è un segreto che la Germania sia tra le più fiere oppositrici della politica monetaria realizzata da Draghi e questa è la conferma ancora una volta di come gli interessi divergenti dentro il board della Bce non riescano a trovare un indirizzo comune che tuteli gli interessi di tutti i membri dell’eurozona. Gli effetti dell’euro forte non tarderanno a farsi sentire sulla crescita, e non sarebbe una sorpresa il prossimo anno vedere l’Ocse ritoccare al ribasso le sue stime di crescita.