franco la torre 675

Il dissidio sorto tra Franco La Torre, figlio di Pio, uno dei politici più rivoluzionari nell’affrontare la mafia, e Luigi Ciotti fondatore di Libera,
impone una, forse più interessante, riflessione che riguarda le personalità di un leader che plasma il modello organizzativo, piccolo o grande, all’interno del quale si opera.

Ciotti, Mazzi, Muccioli, per rimanere in campo non profit o Caprotti, in campo profit, presentano tratti di personalità poco adatti alla mediazione e alla discussione interna su una linea da loro decisa. Il risultato organizzativo di leadership carismatiche come queste rappresenta una duplice dimensione gestionale che oscilla tra il controllo apparentemente paranoide su tutto, che sottende finta fiducia nei propri collaboratori, e l’assunzione del proprio pensiero come paradigma di verità rispetto a quello degli altri. In termini relazionali o professionali, sconfina nello stare con lui o contro di lui, non potendo minimamente tollerare che vi siano posizioni terze rispetto alla linea dettata a suo tempo. Ulteriore elemento autoprotettivo investe i più fidi collaboratori che quando si ergono, per autorevolezza o autonomia di pensiero e ombreggiamo il fondatore, solitamente vengono stroncati, ridimensionati, o resi inoffensivi.

Vorrei però concentrare la riflessione sul fatto che questo è un modello che permette al singolo leader di ottenere risorse ed energie capaci di costruire dal nulla miriadi di attività, servizi, risposte ai bisogni. In chiave profit, costruire imperi. Il leader carismatico genera e trasfonde energia tesa a raggiungere obiettivi ritenuti impossibili. La storia di questi personaggi è una buona testimonianza: comunità, progetti che abbracciano l’intero campo delle vecchie e nuove povertà, impegno culturale diffuso che diventa orientamento e opinione pubblica. Insomma, indubbiamente, innovatori e visionari.

Il lato oscuro di tale impostazione è, però, quella che oggi La Torre denuncia, ma che ieri è stata descritta, in termini di cruda realtà narrativa, dal libro I Buoni del compianto Luca Restello: di un verticismo solipsistico in cui anche la semplice brezza del più innocuo dissenso viene vissuta come minaccia. E quando ciò accade, spesso, la parola tradimento fa capolino. La democrazia, malgrado tutti i leader ne siano convinti assertori, si pone sempre al di fuori del perimetro delle proprie organizzazioni. Al proprio interno la decisione non ammette repliche o contrarietà.

Non ho dubbi che tali personalità, pur nella funzionalità dei modelli sociali all’interno dei quali si muovono, presentano disturbi. Disturbi lievi e compatibili con il ruolo loro assegnato. E se la crescita di un’organizzazione del genere non potrebbe avvenire (in un lasso di tempo così breve) se non grazie a loro, l’eredità culturale, esperienziale, sociale che gli sopravviverà rischia di frantumarsi in mille rivoli di potere, ripicche, gelosie,meschinità. Rischia, in altri termini, di assumere la dimensione dell’apparato di potere (cosa che è già) ma senza che vi sia una classe dirigente cresciuta all’ombra del maestro, posto che il maestro non fa crescere nessuno.

La questione delle leadership carismatiche contrapposta a quella delle leadership funzionali (ruoli apicali sulla base delle capacità effettive) ha tormentato il settore no profit in questi ultimi decenni. Ha impedito ricambi generazionali e, probabilmente, rallentato un’evoluzione di questo settore che è ancora troppo basato su relazioni paraclientelari con la politica, imprenditoria, finanza determinate dal grado di visibilità che, nel corso della carriera, si è raggiunto e non certo dalla bontà delle proposte.

Nella realtà dei fatti vi sono miriadi di piccole associazioni o cooperative che hanno sviluppato pensiero e azioni molto più significative e di spessore, adatte ai tempi e svecchiate dalla retorica convenzionale, delle generazioni e delle organizzazioni più titolate di cui sopra. Che hanno improntato le loro organizzazioni su processi moderni di ricambio di ruoli o di esaltazione dei più capaci. Forze fresche che però non avendo l’aurea della santità, hanno ben poco ascolto tra i vertici politici e ancora meno tra una opinione pubblica che si alimenta di parole d’ordine anche quando non significano nulla. Per non parlare del giornalismo che sui temi del sociale ignora qualsiasi cosa ma è rassicurato, ai fini della stesura del proprio articolo, dal nome di richiamo. Anche se quel nome, di quello specifico argomento, inventa banalità.

Certo, un leader non carismatico non ha la capacità rabdomantica di individuare le corde del tuo più intimo sentire, del farti partecipe di un progetto la cui grandiosità è per te inimmaginabile. Ma poi scopri che tale grandiosità è più sulla carta che sul campo e che, al contrario, l’idea della piccola cooperative è più efficace, costa meno allo stato, raggiunge obiettivi più ambiziosi.
La Torre è l’ultimo che sbatte la porta. Per autorevolezza è tra i primi, ma vorrei che non se ne facesse questione di persone perché i primi ad essere ostaggio di simili architetture organizzative sono gli stessi leader.

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