Secondo i pm di Lucca sarebbe bastato un "controllo visivo accurato" per capire che l'assile che si è spezzato causando il deragliamento del vagone carico di gpl era difettoso. Come sarebbero bastate delle barriere protettive per evitare che l'incendio distruggesse via Ponchielli uccidendo 32 persone
Due anni di processo per la strage di Viareggio: 32 morti bruciati per strada o nelle proprie case nella notte tra il 29 e il 30 giugno 2009. La sentenza di primo grado attesa prima dell’estate, anche se sul lavoro della Procura di Lucca pende la spada di Damocle della prescrizione. Quali verità sono emerse finora in aula? Quali falle nella manutenzione e nell’analisi dei rischi? Viareggio ha insegnato qualcosa? Ecco il punto de ilfattoquotidiano.it sul dibattimento sul quinto disastro ferroviario più grave di tutti i tempi, che vede alla sbarra 33 imputati.
Viareggio non solo era prevedibile, era un caso da manuale
Chi può andare a immaginarsi che l’asse sotto il vagone si spezzi, il vagone deragli, si ribalti e le sostanze pericolose si diffondano e si inneschi un incendio? Chiunque: quello che è accaduto a Viareggio era un caso da manuale. Accadde lo stesso altre volte, il caso più studiato è quello di Missisauga, in Canada, dove nel 1979 fu ordinata la più grande evacuazione in tempo di pace (200mila persone) che gli Stati Uniti hanno conosciuto fino all’uragano Katrina. “E’ un evento studiato in ambito universitario. Noi stessi facevamo corsi di questo genere” ammette Francesco Marotta, consulente tecnico della Procura. Chiamato in aula il primo ottobre 2014, dichiara anche: “Un incidente di questo tipo l’abbiamo posizionato come probabile”.
A Viareggio viaggiavano 14 cisterne, ognuna trasportava 45,7 tonnellate di gas propano tenuto allo stato liquido dall’alta pressione. Uscirono 24500 chili di gpl dal serbatoio che si squarciò. Al contatto con l’aria vaporizzarono, formando una nube di gas. Per innescare in queste condizioni un incendio fulminante, immediato e potentissimo, detto “flash fire”, basta un’energia minima, come quella che produce un “interruttore domestico nel momento in cui accendo e spengo la luce”, dichiara l’altro consulente incendiario della Procura, Marcello Mossa Verre. E chi trasporta gpl lo sa bene. “Il flash fire è una delle tipologie classiche incidentali del gpl” sottolinea l’esperto. Niente che non fosse conosciuto.
Poteva andare peggio? Sì, e non bisogna essere catastrofici per dirlo. Con le temperature sprigionate dall’incendio, anche le altre 13 cisterne sarebbero potute esplodere. “Il fenomeno maggiormente temuto nell’ambito degli impianti che trattano il gpl” dice Marotta. Ma poteva andare anche meglio: sarebbero bastate delle barriere a bloccare la diffusione del gas verso le case, ribadiscono in aula gli esperti incendiari. Sono i periti hanno analizzato l’operato di Rete Ferroviaria Italiana e Trenitalia: “Le loro analisi dei rischi – hanno concluso – non erano in conformità alla normativa. Non hanno portato a azioni di riduzione del rischio a livelli trascurabili, come chiede la legge”.
L’assile rotto: di chi è la colpa?
Oltre 9 assili su 10 rischiano la rottura per corrosione, ricorda in aula, il 12 novembre 2014, Paolo Toni, il consulente chiamato dalla Procura ad analizzare le falle nella manutenzione. E sull’assile (il tubo sotto il vagone, alle cui estremità si infilano le ruote, formando la cosiddetta “sala montata”) incriminato, vecchio di 35 anni e di proprietà di Gatx, c’era “un’ossidazione imponente. Si vedevano come delle sbollature della vernice”. Per rendersene conto, sarebbe bastato “un controllo visivo accurato da un esperto di questi problemi” attesta Toni.
Ma all’officina Cima di Bozzolo (in provincia di Mantova), dove l’assile arriva per essere montato, non si fanno domande. E sono abituati così. Gatx, insieme ai pezzi da montare, non gli aveva mai mandato un solo piano di manutenzione, cioè un libretto che attesta lo stato di salute degli assili: danni riscontrati e riparazioni effettuate.
L’ultima revisione, il proprietario Gatx l’aveva affidata pochi mesi prima alla Jugenthal di Hannover, in Germania, che non aveva neppure il titolo per farla, perché non faceva parte del VPI, l’elenco delle officine raccomandate. In soli 12 minuti, contro gli oltre 30 previsti per legge, i dipendenti tedeschi fecero sull’assile un controllo a ultrasuoni, per il quale il personale era stato formato in due corsi da un’ora e mezzo ciascuno, durante la pausa pranzo.
Non solo: l’assile corroso che supera i controlli e viene montato sotto un carro che porta merci pericolose, era tinto con due vernici diverse. Una cosa anomala, cui la Germania aveva fatto il callo. E’ del luglio 2007 la circolare dell’Eba, l’autorità federale per le ferrovie tedesche, che raccomanda a tutte le società ferroviarie di controllare ripetutamente gli assili, poiché “continua a rilevare la presenza di sale montate, i cui assili e raccordi compositi presentano ammaccature o crateri di corrosione. Questi ultimi occupano spesso ampie zone dello strato superficiale dell’assile, che non di rado sono state ricoperte con vernice colorata”. I pericoli in caso di rottura dell’assile, ricorda Eba nella circolare, sono enormi, soprattutto se l’incidente coinvolge un carico di merci pericolose.
Ma in Italia le cose non vanno meglio: nessuna tra le società italiane – Fs Logistica che ha noleggiato i carri cisterna da Gatx, Trenitalia che li ha utilizzati, Rfi che li faceva circolare sulla propria rete, l’officina Cima che ha montato gli assili – ha mai visto questi piani di manutenzione. Almeno fino alla strage del 2009. A poche ore dal drammatico incidente, Fs Logistica manda una mail a Gatx. Si legge: “Cari signori, in relazione all’incidente che è avvenuto a Viareggio, abbiamo bisogno di una conferma scritta dalla vostra azienda sull’affidabilità di tutti i vagoni Gatx dati in affitto a Fs Logistica”. E in particolare si richiedono, appunto, i piani di manutenzione dei carri.
La tracciabilità che non piace agli organismi ferroviari
Viareggio ha insegnato una lezione? Non proprio. Nel maggio 2010, quasi un anno dopo la strage, l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria invita le imprese ferroviarie a “non accettare i trasporti di merci pericolose effettuate con carri immatricolati all’estero per i quali non fossero state completate le procedure di tracciabilità”. I più grandi organismi ferroviari internazionali, come Uip, Erfa, Cer protestano e chiedono soluzioni alternative. “A capo del Cer c’era l’ingegner Moretti” specificò in aula Alberto Chiovelli, ex capo dell’Agenzia per la Sicurezza Ferroviaria. Mauro Moretti, oggi a capo di Finmeccanica e ai tempi della strage ad di Ferrovie dello Stato, è tra gli imputati.
Intanto, all’ultima udienza, l’ingegnere Giorgio Daina, consulente del gruppo di Ferrovie dello Stato, ha fatto sapere che dal luglio di quest’anno in Ferrovie si sperimenta il rilevatore antisvio, dispositivo già esistente all’epoca della strage, ma mai usato in Italia, che arresta immediatamente il convoglio se una ruota del vagone perde il contatto con la rotaia.