Il cibo e il clima danesi non sono considerati tra i migliori del mondo, ma sono due aspetti della vita con cui Arianna Taormina, 26enne marchigiana, ha dovuto imparare a convivere. Da due anni il suo mondo si è spostato alle porte del mar Baltico, ed oggi collabora alla creazione di un sistema di diagnostica per un progetto internazionale di un reattore sperimentale in Francia (ITER) per la Danmark Tekniske Universitet. Suo marito, Gabriele Salcuni, di Monza, dopo un master biennale nella stessa università è diventato un wind engineer: ora è alla ricerca della sua futura occupazione. In questo periodo post laurea lo Stato lo sostiene. “Ricevo 1300 euro mensili finché non troverò un lavoro – spiega –. Con i dovuti accorgimenti bastano, anche se qui il costo della vita è maggiore rispetto l’Italia”. Lo Stato danese sa come trattenere i suoi investimenti. Questa estate si sono sposati a pochi chilometri da Copenaghen, con la ferma convinzione che qui creeranno la loro famiglia.
Tutto parte da Milano. Qui Arianna, terminata la triennale al Politecnico – dove ha conosciuto Gabriele – decide di seguire delle lezioni di wind energy in Olanda, alla TU Delft: “Lì ho aperto gli occhi sulle possibilità che c’erano all’estero”. Così, dopo il ritorno in Italia, inizia a parlarne agli ex colleghi e a Gabriele, che nel frattempo ha iniziato la magistrale. “Nel mio corso solo un esame da 8 crediti riguardava l’energia rinnovabile e c’erano pochi laboratori o corsi pratici. Basti pensare che al Politecnico la galleria del vento è quasi inaccessibile agli studenti”. Il nodo delle specializzazioni in Italia è noto: troppa teoria e corsi fotocopia dei tre anni precedenti. Così Gabriele decide di fare domanda in Europa e viene preso per la specializzazione in Danimarca. Arianna lo raggiungerà pochi mesi dopo. “Qui l’istruzione è gratuita – continua il ragazzo – e viene data grande attenzione alla pratica. Ogni settimana dovevamo consegnare un elaborato, ciò rende lo studio molto più attivo”. Gli orari sono fissi: dalle 8 alle 12, dalle 13 alle 17. “Gli studenti sono messi in condizione di seguire i corsi anche lavorando part-time”, spiega Gabriele.
La differenza non è limitata all’ambiente universitario. Arianna a Milano trova lavoro in una compagnia di energy consulting. “Avevo un lavoro da curriculum a pochi mesi dalla laurea e potevo mantenermi, stringendo molto la cinghia, ma gli orari erano insostenibili – racconta – e avevo tre ore al giorno di straordinario non pagate”. L’azienda aveva messo in chiaro le cose: niente lavoro oltre le otto ore, niente rinnovo del contratto. “Mi facevano capire che ‘è pieno di gente che vorrebbe stare qui e bisogna meritarselo'”. In Italia non importava se riusciva a concludere il lavoro nell’arco di tempo necessario, perché doveva comunque lavorare di più. “Qui in Danimarca ho totale flessibilità sugli orari, 37 ore settimanali, ad eccezione degli impegni con i colleghi, e posso entrare ed uscire quando voglio”. Durante il colloquio le hanno detto: “The only thing that matters is that you get your work done. How it is up to you”. Un altro aspetto da non sottovalutare: la famiglia. “Con il mio stipendio posso fare progetti e mettere qualche soldo da parte, cosa avrei fatto in Italia con 850 euro mensili? E la maternità? Che qualità della vita è lavorare 10 ore al giorno con poche prospettive di avanzamento?”. E conclude: “Qui cibo e clima fanno schifo? Amen!”.
di Marco Vesperini