In attesa di conoscere – si spera tra non molto – i risultati delle elezioni parlamentari venezuelane, credo sia interessante raccontare una, anzi, due storie che, tra loro intrecciate, aiutano non solo a meglio illustrare la vera natura del processo elettorale, ma anche a spiegare perché, a dispetto dell’unanime verdetto dei sondaggi, nient’affatto scontata sia una vittoria dell’opposizione; e soprattutto perché ancor meno certa sia, nel caso questa vittoria davvero si materializzi nelle urne, una sua tangibile traduzione in cambio politico.
Volendo ricorrere ad una molto elementare metafora sportiva: le elezioni venezuelane – quelle di domenica e tutte le altre che, con indubitabile frequenza, hanno riempito i 17 anni del governo chavista – sono come gare di corsa nelle quali tutti i concorrenti devono, come impongono i regolamenti, percorrere una uguale distanza (mettiamo: mille metri). Con l’unica ma non del tutto irrilevante differenza che, mentre il partito di governo quei mille metri li percorre usando una corsia con un 30 per cento di pendenza in discesa, all’opposizione tocca invece correre lungo un settore della pista – in precedenza molto opportunamente minato dagli stessi giudici di gara – che vanta la medesima pendenza, ma in salita. Il tutto con un aggiuntivo handicap: la certezza che, quale che sia l’ordine d’arrivo, nessuno potrà infine impedire al partito di governo – detentore di quello che in politica si chiama ‘potere reale’ – di salire sul podio a ritirare tutte le coppe, tutte le medaglie e tutti gli allori in palio. Giusto per capire: nel 2007, Hugo Chávez perse il referendum chiamato a modificare una sessantina d’articoli della Costituzione, ma nei mesi successivi alla sconfitta introdusse, ad uno ad uno – attraverso decreti legge ed alla faccia della Costituzione ‘più bella del mondo’ (ipse dixit) – tutte le proposte bocciate nelle urne. Così come, un anno più tardi, sconfitto nella corsa per la ‘alcaldia’ di Caracas – conquistata dall’oppositore Antonio Ledezma, oggi, guarda un po’, nome eccellente nel lungo elenco dei prigionieri politici del regime – il ‘comandante supremo ed eterno’ altro non aveva fatto che creare, sempre per decreto, una ‘alcaldia’ parallela alla quale consegnare, in termini di poteri e di danari, tutte le competenze dell’originale…
Ma veniamo alle due storie. La prima si racconta da sé ed è quella d’una lettera. Più specificamente: è la storia della lunga e molto dettagliata missiva con la quale Luís Almagro, già ministro degli esteri uruguayano sotto la presidenza di José ‘Pepe’ Mujica ed ora neoeletto segretario della Organizzazione degli Stati Americani, ha illustrato a Tibisay Lucena, la molto ossequiente signora che presiede il Consejo Nacional Electoral, le ragioni per le quali molto opportuno sarebbe stato accettare quella qualificata ‘osservazione internazionale’ che lui aveva a nome della OAS offerto e che lei aveva sdegnosamente respinto. Si tratta d’un lungo e minuzioso elenco – molto signorile nei toni ma implacabile nella sostanza – dei molti orrori che, dati alla mano, compendiano il cosiddetto ‘ventajismo’. Ovvero: lo scandaloso favoritismo che – con il CNE protagonista attivo o passivo – sfrontatamente avvantaggia il partito di governo a discapito delle più elementari regole della democrazia.
E proprio di questo elenco d’orrori è parte la seconda storia. Una piccola parte. Piccola e miserabile, specie se misurata sul metro dei grandi abusi – processi-farsa contro esponenti dell’opposizione, inabilitazioni di candidati, scandaloso uso di risorse pubbliche per la propaganda dei candidati filo-governativi, ricatti e violenze d’ogni tipo – denunciati da Almagro. Piccola, ma nella sua semi-comica meschinità capace di riflettere la cialtronaggine truffaldina che tanto spesso caratterizza, sullo sfondo d’una grande tragedia politica, il modus operandi del chavismo. E, per questo, a suo modo importante.
La storia è quella di ‘min-Unidad’. Di che si tratta? Min-Unidad (Min come Movimiento de Integridad Nacional) è un piccolo partito fondato nel lontano 1977 ed entrato, a suo tempo, nella coalizione d’opposizione (la MUD, o Mesa de Unidad Democratica). Nell’agosto di due anni fa, con motivazioni giuridicamente del tutto ridicole, il Tribunale Supremo di Giustizia (dal 2004, anno della sua riforma, una inerte appendice del governo) ha però sciolto il suo comitato direttivo e d’autorità l’ha sostituito con uno formato da chavisti di provata fede. E qui ha avuto inizio, sotto la molto ‘indipendente’ regia del CNE, una straordinaria farsa in cinque atti. Primo atto: il min-Unidad si presenta alle elezioni parlamentari ed il CNE provvede, nello stampare le schede elettorali, a collocare il suo simbolo – quasi identico a quello della MUD ed accompagnato dallo slogan “siamo l’opposizione” – proprio accanto a quello della MUD. La MUD protesta e le sue proteste sono ignorate dal CNE. Secondo atto: non contenta, min-Unidad cambia, con il consenso del CNE, il colore del suo logo per renderlo ancora più simile a quello della Mud. La Mud protesta, del tutto invano, presso il CNE. Terzo atto: la MUD, a questo punto, chiede di poter cambiare il colore del suo logo per distinguerlo da quello di min-Unidad. Il CNE respinge la richiesta. Quarto atto: sempre con il consenso del CNE, min-Unidad cambia uno dei suoi tre candidati con un misterioso personaggio che, casualmente, ha lo stesso nome e cognome – Ismael García – di uno dei più noti esponenti della MUD in lizza. La MUD protesta, il CNE tace. Quinto ed ultimo, spettacolare atto: il presidente Nicolás Maduro si presenta in TV, a reti unificate, per illustrare didatticamente e ‘neutralmente’ al volgo come si deve votare il 6 dicembre. Ed indovinate un po’ su quale simbolo si posa il suo presidenziale dito indice mentre pronuncia la frase: ‘questa è l’opposizione’…Se la vostra risposta è ‘sopra il simbolo di min-Unidad’, avete vinto un orsetto di peluche…
Queste erano le storie. Ed ora aspettiamo con serenità i risultati delle urne…
P.S. Il presidente Maduro, degno ‘figlio’ ed ‘apostolo’ del ‘comandante eterno’ anche in materia di levità di linguaggio, ha definito ‘señor basura’, signor immondizia, Luís Almagro per la sua lettera al CNE. E non pochi esponenti della sinistra latinoamericana – incluso il vecchio mentore di Almagro, Pepe Mujica – hanno fatto pronta e più o meno volgare eco. Dettaglio significativo: nessuno tra questi esponenti della sinistra ha avuto la decenza di entrare, anche solo di sfuggita, nel merito dei contenuti della lettera. In Sicilia, la chiamano omertà.