“Se sei dipendente pubblico significa che hai vinto un concorso. Non è che se cambia sindaco allora quello ti licenzia”. Così Matteo Renzi, intervistato dal Corriere della Sera, ha spiegato perché il governo ha intenzione, con il decreto legislativo di riordino del lavoro pubblico previsto dalla legge delega sulla pubblica amministrazione, di escludere gli statali dall’applicazione del Jobs Act. Questo dopo che la Cassazione ha al contrario sancito che la riforma, compresa la parte che di fatto cancella l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, vale anche per loro. Cosa che, come ha spiegato a ilfattoquotidiano.it il giuslavorista Umberto Romagnoli, “è sempre stata ovvia”, anche se nel dicembre 2014, in fase di approvazione dei primi decreti attuativi della legge delega, l’esecutivo aveva garantito per bocca del responsabile economico del Pd Filippo Taddei che “la volontà politica” era quella di non applicarlo al pubblico impiego.

Ora il governo intende cristallizzare la “volontà” in un testo legislativo. Uno di quelli previsti dalla riforma Madia, appunto. Senza il quale al contrario la licenziabilità senza possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro sarebbe stata un dato di fatto anche per i dipendenti dello Stato e degli enti locali. Peccato che, come fatto presente da Romagnoli, un intervento del genere sia ad alto rischio di incostituzionalità perché crea una evidente discriminazione tra lavoratori pubblici e privati.

Alla domanda sul perché l’esecutivo voglia dare l’imprimatur a “questa disparità di trattamento”, Renzi risponde che, appunto “se sei dipendente pubblico significa che hai vinto un concorso”. Di conseguenza, chiosa, “mi accontenterei di licenziare quelli che truffano, che rubano, che sono assenteisti. Senza che qualche giudice del lavoro li reintegri. Ma nel pubblico è impossibile che, cambiando maggioranza politica, si possa licenziare: sarebbe discriminatorio. In ogni caso le norme sul pubblico impiego saranno interessanti e per certi aspetti rivoluzionarie“.

La riforma della pa, i cui primi decreti attuativi sono attesi entro Natale, prevede comunque, nell’ambito dell’inasprimento delle azioni disciplinari, la possibilità del licenziamento nei casi più gravi. La delega impegna il governo “accelerare, rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare”. In teoria l’obiettivo è quello di rendere più facili sia i licenziamenti disciplinari sia quelli per scarso rendimento. Dopo gli ultimi casi di assenteismo, il ministro Marianna Madia ha parlato di “un focus specifico sulle assenze particolari, le assenze reiterate, le assenze di massa”.

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