La partecipazione della gente alle decisioni strategiche e, in particolare, alla progettazione urbanistica è un fattore vitale per il successo delle trasformazioni urbane di una città, per la qualità della vita dei suoi abitanti, per generare inclusione sociale e favorire la trasparenza. Questo principio è stato declinato da generazioni di urbanisti nel secolo scorso e, tra tutti, ricordo in modo particolare Giancarlo De Carlo, genovese per caso e laureato nel Politecnico di Milano. Pubblicò L’architettura della partecipazione più di 40 anni fa. Erano gli anni (1973) di una canzone di Giorgio Gaber tuttora viva nel profondo collettivo della mia generazione. Il testo di Sandro Luporini traduceva in poesia un valore inconfutabile, assieme individuale e collettivo: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione; la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
Nel discutere il destino delle aree e delle infrastrutture di Expo 2015, la discussione si è finora limitata a una serie di schermaglie tra le diverse istituzioni, con Stato, Regione e Comune in prima fila, focalizzate su temi e soluzioni non affatto originali. Si sono fatte molte ipotesi e qualche principe azzurro si è pure fatto avanti, ancorché squattrinato, e qualche finanziamento hi-tech è anche apparso all’orizzonte, naturalmente da fonte statale. Nessuno o quasi ricorda, invece, che questo destino ere stato oggetto, quattro anni fa, di un evento caratterizzato da una grande partecipazione, chiamato referendum.
Il Referendum consultivo d’indirizzo per conservare il futuro parco dell’area Expo (numero 3) chiedeva: “Volete voi che il comune di Milano adotti tutti gli atti ed effettui tutte le azioni necessarie a garantire la conservazione integrale del parco agroalimentare che sarà realizzato sul sito Expo e la sua connessione al sistema delle aree verdi e delle acque”?
Nei giorni 12 e 13 giugno 2011 ha votato “Sì” il 95,51% dei votanti. Se 454.995 milanesi hanno espresso l’indirizzo di conservare il parco agroalimentare e solo 22.443 hanno detto “No”, ignorare se non umiliare la partecipazione come, almeno in apparenza, sta accadendo non è mai una buona cosa. Spesso prelude a una deriva non propriamente democratica e, talvolta, diventa l’anticamera dei periodi oscuri in cui la libertà rimane soltanto una parola falsa e vana, senza sostanza alcuna.