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Sarebbe drammatico se in questi giorni passasse l’emendamento presentato nell’ultima legge di stabilità detto “Codice Rosa”. L’emendamento propone una ipotesi di futuro sistema di protezione per donne che hanno subito violenza che mette al centro degli interventi di presa in carico per uscire dalla violenza i pronto soccorso (Ministero della Salute) e attraverso questi l’attivazione di meccanismi rigidi da parte delle forze dell’ordine (Ministero dell’Interno) e della magistratura (Ministero della Giustizia), in questa prospettiva le donne che subiscono violenza non avranno alcuna opportunità di scelta. Anzi un tale percorso le espone a maggiori pericoli e a una ulteriore vittimizzazione, sotto l’egida delle procure d’Italia che non hanno assolutamente questa funzione.

A chi serve il Codice Rosa se, come vuole l’emendamento, le donne entrando nei Pronto Soccorsi si troveranno ad affrontare in un percorso obbligatorio di denuncia accompagnate solo dalle forze di polizia e dalle autorità giudiziarie? C’è la reale possibilità che le donne, da domani, decideranno di non farsi curare perché non si sentiranno protette dal percorso “Codice-Rosa”. Quali saranno le alternative per uscire dalla violenza? Avranno paura di rientrare a casa, appena uscite dall’ospedale, dove ci sarà di nuovo qualcuno pronto a fare peggio di quando vi sono entrate, se non ad ammazzarle. Mentre servono Reti di servizi di presa in carico territoriale coordinati e Centri antiviolenza che possono sostenere la scelta di uscire dalla violenza.

Questo emendamento non è in linea con la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne sottoscritta dall’Italia e giuridicamente vincolante dall’agosto 2014. La Convenzione pone i diritti delle donne che subiscono violenza al centro di misure legislative, di politiche integrate e di azioni coordinate sui territori tra le articolazioni dello Stato e i centri antiviolenza, le organizzazioni di donne e per i diritti umani. In Italia come strumenti per attuare questi obblighi abbiamo ad oggi la legge 119/13 e il Piano Nazionale Antiviolenza del Dipartimento Pari opportunità del 2015.

Sono almeno tre anni che circola la proposta “Codice Rosa”. Le associazioni che lavorano in questo campo e le esperte che ne conoscono le nefaste conseguenze, l’hanno sempre avversata ogni volta che se la sono trovata servita sotto diverse forme, non ultima nei tavoli di discussione e costruzione del Piano Nazionale Antiviolenza. Ora rispunta in un emendamento sulla legge di stabilità.

La violenza maschile contro le donne è un fenomeno sociale strutturale che necessita risposte politiche e azioni coordinate dello Stato nei diversi territori, non si può interpretare solo in una ottica prettamente sanitaria, di ordine pubblico e di sicurezza come fa l’emendamento del “Codice Rosa”. Tali manovre, che dovrebbero essere inammissibili nella legge di stabilità, sono frutto di legislatrici e legislatori che, consapevoli o meno, autorizzano così una vittimizzazione istituzionale delle donne che subiscono violenza. Ciò vorrebbe dire essere sotto scacco di quella cultura politica che continua a non rispondere agli impegni di salvaguardia e protezione dei diritti umani. Non si può mettere l’interesse di alcuni Ministeri al di sopra del diritto che deve essere garantito dallo Stato alle sue cittadine e alle altre donne.

Serve un “Codice Rosa” nei pronto soccorsi? Servono pronti soccorsi attrezzati e con personale formato, in grado di offrire cure, informazione e assistenza verso una uscita dalla violenza consapevole. Servono pronto soccorsi che lavorino con la rete dei servizi territoriali, compresi i centri antiviolenza, (le forze dell’ordine, i servizi sociali etc.) all’interno del Piano Nazionale Antiviolenza. La rete deve pertanto essere capace di prendersi in carico una donna (ed eventuali figli), nel momento in cui lei decide di uscire dalla violenza, garantendone la protezione h24.
Servono, in periodo di austerity, risorse adeguate, spese in maniera efficace, per la formazione omogenea di tutto il personale delle reti territoriali, affinché il sostegno alle donne dia risultati.

Non inventiamoci nulla, chi oggi è al potere legislativo ed esecutivo se proprio vuole richiamare la questione della violenza nella legge di Stabilità (anche se ribadisco dovrebbe essere  inammissibile), dovrebbe inserire riferimenti di più ampio respiro e maggiore visione come prevede la Convenzione di Istanbul, che agisca nel rispetto della legge 119/13 e del Piano Nazionale.
Se i legislatori quando propongono emendamenti sapessero quali sono le drammatiche conseguenze che derivano dalle loro azioni, e se si informassero prima, forse la democrazia prenderebbe una forma diversa e saremmo più disponibili e convinti tutte e tutti nell’andare a votare chi ci dovrebbe rappresentare.

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