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Timoria, Pedrini a vent’anni da ‘2020 Speedball’: ‘Lavoro folle e disperatissimo’

2020-SpeedBall-cover

Venni a conoscenza della band bresciana Timoria grazie a una musicassetta contenente loro canzoni uscita con Tutto Musica e Spettacolo, rivista dedicata al mondo della musica fra le più vendute negli anni Novanta. La band guidata dal chitarrista Omar Pedrini e dal cantante Francesco Renga aveva da poco conquistato il disco d’oro con Viaggio Senza Vento, un album a cui collaborarono Mauro Pagani della PFM ed Eugenio Finardi. “Dopo quell’album – racconta Omar Pedrini, che attualmente sta lavorando al suo prossimo disco assieme a Noel Gallagher – avremmo potuto riproporre un disco hard rock e ripeterne il successo, invece cambiammo totalmente direzione. Se Viaggio senza vento era un mix tra hard rock, prog e la musica inglese degli Who, erano questi i nostri punti di riferimento, con 2020 eravamo consapevoli che stessimo virando completamente. In quel momento uscire con un’opera concettuale così difficile fu un atto coraggioso: avremmo potuto raccogliere comodamente i frutti di quel disco d’oro, tutti parlavano di noi all’epoca, e invece la voglia di esprimere quello che davvero avevo dentro prevalse, il gruppo mi seguì e facemmo questo esperimento importante, anche se è rimasto un lavoro inesplorato”.

Quest’anno l’album 2020 SpeedBall ha compiuto la bellezza di 20 anni. Un disco che personalmente ho consumato, tante sono le volte che l’ho ascoltato. L’album evidenzia gli aspetti negativi della società di allora e che sono pressoché rimasti immutati: i personaggi tv elevati a guru, i vizi pericolosi nei quali i giovani cadevano diventandone prede, la realtà virtuale e il rischio di alienazione. Le canzoni sono un invito a riscoprire gli antichi valori a colpi di chitarre elettriche e a un ritmo quasi tribale come in Sudamerica, e a tratti rap come in Dancin’ Queen. E il River che si sente chiamare nella traccia che introduce il disco, è River Phoenix, l’attore scomparso prematuramente in quel periodo a causa di un’iniezione di Speedball, un mix di eroina e cocaina. “È un po’ quel che è stato il personaggio Tommy nel concept degli Who. Lo spirito guida dell’album”.

Per festeggiare 2020 SpeedBall e lodarne la bellezza coinvolgo Omar Pedrini. L’ultima volta che ci siamo sentiti mi aveva invitato al concerto a Roma durante il quale venne colpito da un malore dopodiché venne operato d’urgenza al cuore.

Omar, a Roma l’anno scorso ci hai fatto prendere un bello spavento. Fare i duri costa caro.
Quella volta me la sono vista brutta. Ce l’avevo quasi fatta ad arrivare alla fine del concerto, poi al secondo bis sono crollato.

Hai rischiato di dare la vita per l’arte. Sul palco.
Sì, sarebbe come fare la fine da samurai del rock… Adesso ho anche quella stelletta lì sulla mia giacca, una mostrina in più.

Diceva Cesare Pavese: “La morte è il riposo, ma il pensiero della morte è il disturbatore di ogni riposo”.
Ormai la paura non ce l’ho più, sono abituato, sono passati 12 anni da quando ho avuto la prima operazione, quindi vivo tranquillamente. Certo, non gioco più a calcio, ma fare un concerto è come fare una maratona di due ore e mezzo. O come fare una partita a tennis come minimo. Se avessi paura non li farei, ma se vivo… vivo. Sarebbe come chiedere a un pilota di Formula 1 di andare piano. Sul palco è difficile controllarsi. Anche se sono abbastanza monitorato per poter fare una vita normale.

Nel 2015 uno dei più bei album dei Timoria 2020 SpeedBall ha compiuto 20 anni.
Già, sono vent’anni, cazzo! Il disco è uscito nel ’95 e non me ne ero reso neanche conto prima che tu mi chiamassi per questa intervista. E pensare che alcune previsioni di quel disco, ahimé, si sono realizzate! Sono sconvolto da questo concept dedicato al pianeta. La storia raccontata nel brano Europa 3, è molto simile a quella del film Interstellar,  la navicella Europa 3 va alla ricerca di un nuovo pianeta da colonizzare, perché la vita sulla terra è ormai impossibile. Iniziai a scrivere le canzoni nel ’93, quando nacque mio figlio Pablo, il mio primogenito, visto che il destino mi ha mandato una piccolina che mi costringe a vivere assieme alla musica. Diventato per la prima volta padre cominciavo a temere per il futuro. Ho deciso di ambientare l’album a quando mio figlio avrebbe avuto 27 anni, l’età che avevo io. Mi domandai ‘chissà come sarà il mondo nel 2020 quando Pablo avrà la mia età?’. È quella la molla che mi ha fatto scrivere le canzoni.

Chi era Omar Pedrini all’epoca?
Uno studente universitario iscritto alla facoltà di Scienze Politiche indirizzo storico-filosofico alla Statale di Milano. Il successo dei Timoria però non mi permise di portare a termine gli studi. E infatti mi sto informando per finire l’università con la laurea breve, visto che insegno alla Cattolica di Milano da dieci anni. Avevo sostenuto 11 esami su 19. Mi piacerebbe prendere la laurea, ci terrei molto.

Quanto hanno influito i tuoi studi sulla scrittura dei brani?
All’epoca a Scienze Politiche avevamo la bellissima abitudine di studiare il libro sullo stato del pianeta. E già allora si parlava di come ci stessimo avvicinando a un punto irreversibile, si parlava di inquinamento, dell’erosione del suolo, e avendo un figlio cominciavo a preoccuparmi del suo futuro. Avevamo appena vinto il disco d’oro con Viaggio Senza Vento e in qualche modo ci rendevamo conto di aver dato il via, assieme ad altri pochi gruppi come i Litfiba, al rock cantato in italiano.

La copertina è molto diretta.
Sì, si giocava molto sul pianeta e sulla droga virtuale che mi spaventava. Stava arrivando Internet e mi inquietava molto la realtà che andava prefigurandosi. Giocai col parallelo fra le droghe virtuali e le droghe reali che circolavano allora e nelle quali eravamo caduti in molti della mia generazione. È un disco dai toni estremi, forse il nostro più sperimentale, con sonorità schizofreniche.

È un disco dal sapore più europeo che italiano.
Se mi chiedessero quale album porterei su un isola deserta direi proprio 2020. È un disco coraggioso, dove c’eravamo spinti a estremi molto particolari. Fu il disco che ci portò in tournée con gli Aerosmith e i Sepoltura che suonavano con le nostre magliette. In Francia fu apprezzatissimo, tant’è che il disco che facemmo dopo, Eta Beta contiene due canzoni francesi. Portammo il rock italiano fuori dei nostri confini, avevamo puntato in alto ma non raccogliemmo come forse uno più furbo o più esperto di noi avrebbe fatto. Lo ritengo un disco da scoprire e ancora attualissimo.

A metà anni 90 i Metallica si erano imposti con il loro sound e nel vostro disco si sentono le influenze.
Difficilmente, dal punto di vista musicale e delle influenze abbiamo guardato all’Italietta, quello che mi piace dei Timoria è che non sono stati la versione italiana dei Rolling Stones o dei Clash, come si usa spesso da noi. Ci sono certamente le influenze dell’epoca, di quel particolare momento in cui dal Grunge si passa a sonorità ancor più accese. In 2020 ci sono brani non metal ma con sonorità di quel tipo, con quell’alchimia lì, come in Senza far rumore. O in Boccadoro, brano ispirato dalle letture del Siddharta di Herman Hesse, dove c’è una ricerca sul prog e le influenze della Pfm sono evidenti, ma con l’aggiunta di suoni più metallici. Fu un lavoro folle e disperatissimo.

“La Poesia è morta ormai”, cantavi nel brano Mi manca l’aria.
In 2020 c’è questo Streben, il voler tendere a ciò che non si può realizzare, all’utopia, alla perfezione. Io mi ero inventato la figura del poeta armato e militante, che avrei interpretato durante tutti questi anni, combattendo contro la superficialità dilagante, invitando a riflettere anche con le canzoni.