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Trivellazioni, il governo impugna la legge regionale dell’Abruzzo. E punta al dialogo per evitare il referendum ‘No Triv’

L'iniziativa del cdm fa parte di una strategia più ampia che punta a evitare le urne dopo l'ok della Cassazione. A gennaio la Consulta si dovrà esprimere per il via libera definitivo, intanto l'esecutivo promette di modificare l'articolo 38 dello Sblocca Italia per andare incontro alle 10 Regioni che hanno promosso la consultazione popolare

Il Governo Renzi sta prendendo tutte le contromisure per sbrigliare la matassa dello “sblocca trivelle” e arginare gli escamotage delle Regioni per stoppare le ricerche di gas e petrolio in mare. Dopo il via libera della Cassazione ai sei quesiti referendari presentati da dieci consigli regionali contro il famigerato provvedimento, l’esecutivo è in pieno allarme. E i tentennamenti non mancano. Da una parte mantiene la linea dura e impugna la nuova legge dell’Abruzzo che estende il divieto di ricerca di gas e petrolio. Dall’altra ha allo studio alcune misure che rivedono lo “sblocca trivelle” allo scopo di evitare il referendum, visto come fumo negli occhi: una sconfitta alle urne – temono a Palazzo Chigi – potrebbe mettere in discussione l’intera politica energetica renziana.

Quanto all’Abruzzo, il Consiglio dei Ministri ha deliberato l’impugnativa della legge della Regione denominata “Provvedimenti urgenti per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema della costa abruzzese” (n.29 del 14 ottobre 2015). Una legge che vieta – recita l’articolo 1 al comma 1 – “le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi nelle zone di mare poste entro le dodici miglia marine dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero della Regione Abruzzo”. Ma che secondo il Governo “invade materie di esclusiva competenza statale” in materia di energia. Tra i progetti interessati c’è Ombrina Mare di Rockhopper, sulle coste abruzzesi, nel mirino da anni dell’opposizione locale.

La decisione del Cdm non prende tuttavia di sorpresa la Regione, che anzi annuncia guerra al Tar e conferma che i lavori per Ombrina verranno comunque sospesi in attesa del giudizio della Consulta. Il ragionamento è semplice e lo spiega il sottosegretario alla Giunta regionale, Mario Mazzocca. Sulla base della delibera del Cdm, l’Avvocatura dello Stato procederà all’elaborazione del ricorso, che verrà depositato in Corte costituzionale. Ci vorranno alcuni mesi per il giudizio finale. Nel frattempo, la Regione Abruzzo chiederà al Tar Lazio di voler sospendere in via cautelare, nelle more del giudizio della Corte, i provvedimenti amministrativi riguardanti Ombrina mare.

“E’ la riprova del fatto che la nostra iniziativa legislativa ha colto nel segno – commenta Mazzocca – Eravamo ben consci tanto dell’elevata possibilità di incostituzionalità del progetto di legge, quanto della pressante esigenza di porre un freno alla deriva petrolifera perseguita dal governo nazionale nell’ottica di concreto sostegno alla proposta referendaria nel frattempo lanciata da 10 Regioni“. A mettere in discussione le certezze di Mazzocca è tuttavia il M5S Abruzzo, che da mesi lotta contro il progetto Ombrina e in generale le trivellazioni in Adriatico. “Lo avevamo detto fino a perdere il fiato, questa legge è stata l’ennesimo palliativo mediatico e ora il Consiglio dei Ministri presenta il conto”, commenta Sara Marcozzi, consigliere regionale del partito pentastellato. “L’unica strada è quella della legge di iniziativa regionale alle camere presentata dal M5S e approvata dal consiglio regionale – continua Marcozzi, prima firmataria della legge – che va a modificare ed abrogare parzialmente l’articolo 35 del Decreto Sviluppo” (ripristinando quindi il limite di 12 miglia marine dalla costa per le attività delle piattaforme petrolifere).

Ma a non far dormire sonni tranquilli al Governo Renzi è in realtà soprattutto il referendum contro lo “sblocca trivelle”. A fine novembre la Corte di Cassazione ha dato il suo ok ai sei quesiti referendari presentati da dieci regioni, su spinta dei “No Triv”, contro il provvedimento. Secondo la Cassazione sono “conformi alla legge”. Entro il prossimo gennaio la Consulta dovrà dare un giudizio di legittimità e nel frattempo Palazzo Chigi non vuole stare con le mani in mano perché teme di vedersi messe in discussione tutte le politiche in materia di energia. Così i ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente si sono messi al lavoro per smussare lo “sblocca trivelle” in senso “No Triv” ed evitare le urne.

La riprova della volontà di un cambio di rotta emerge anche dall’incontro tra il ministro Federica Guidi e il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che non ha firmato la richiesta di referendum. Con l’occasione, infatti, Bonaccini ha chiesto “una revisione delle norme attualmente in vigore che superi gli elementi di divisione e incomprensione, contemperando le esigenze relative alle strategie energetiche nazionali e la salvaguardia delle risorse ambientali”. E il ministro Guidi – si legge in una nota – “si è detta disponibile ad avviare insieme al Governo una riflessione in questo senso con l’obiettivo di ricercare una possibile soluzione condivisa”.

Il tempo disponibile però è poco. Come detto, a gennaio la Consulta si esprimerà, dopo di che è previsto l’inizio della la campagna per arrivare alle urne tra aprile e giugno. L’obiettivo dei referendari – ricordiamo – è cancellare alcune parti dell’articolo 38 dello Sblocca Italia, che riguarda la ricerca e l’estrazione di idrocarburi (di qui la denominazione “sblocca trivelle”). In particolare si vuole riaprire la concertazione tra lo Stato e i territori nonché ripristinare il limite di 12 miglia marine dalla costa per le attività delle piattaforme petrolifere (abrogando quindi anche una parte dell’articolo 35 del Decreto Sviluppo, come proposto dal M5S).