Viva Renzi!, grida qualcuno dai palchetti del quarto ordine. “Viva Renzi o Viva Verdi? Qualcuno ha sentito?”. Nessuno ha una risposta. L’indifferenza è generale: i giovani virgulti in platea stanno raccogliendo i propri resti per guadagnare l’uscita, altri stanno esaurendo i loro applausi di 11 minuti. Così quel grido è coperto, ignorato. Non lo sente nessuno. Tranne lui: Viva Renzi o Viva Verdi? Non si sa, ma lui, il presidente del Consiglio, gran debuttante alla Prima della Scala, rimasto solo con Agnese e Franceschini nel Palco Reale, pencola un po’ in avanti, alza lo sguardo e saluta con una mano e un sorriso. Il terrorismo si batte con la cultura. E vedi mai che si possa fare tutto un pacchetto anche con le elezioni.
Va tutto bene per la Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi. Nessun fischio dalla piccionaia, nessuna contestazione a registi troppo moderni, o troppo poco. E’ una specie di idillio. Nessuna protesta. Nessun direttore d’orchestra che ferma il Va’ pensiero, si gira verso il pubblico e spara un comizio anti-governativo (Riccardo Muti, 2011). Anzi: Renzi incontra i lavoratori del teatro, i musicisti, lo stesso Riccardo Chailly. Scherza, fa i selfie, chiede informazioni. “Io avevo esperienze di prime con Mehta (al Maggio fiorentino, ndr) di 5 ore e mezza. Era il periodo in cui Mehta era su Wagner e quando sono diventato sindaco ho avuto il battesimo del fuoco”. Roberto Maroni prova a contenerlo, a tirare un bastone tra le ruote che girano da un verso solo: “Non è Renzi che onora la Scala, ma viceversa” dice. Già che c’è aggiunge che “dove c’è Renzi non c’è Mattarella e viceversa”. Incredibile: non riesce nemmeno a evitare di paragonare Marine Le Pen a Giovanna d’Arco. Renzi, però, niente: sorride. Fluttua sul tappeto rosso del foyer come Gary Oldman in Dracula. Rispunta sul Palco Reale, inno di Mameli, non canta perché non canta nessuno. Lui è davanti, impettito, raggiante, Maroni sparisce dietro a Pisapia.
Perfino la tradizionale manifestazione incorniciata dai blindati della polizia, fuori dal teatro, è una specie di festa fuori dalla festa. Certo, lì – dove parlano di pace, scuola, ambiente – non si divertono come potrebbero dentro, dove per dirne un paio Daniela Santanchè opta per l’occasione per un vestito color Grinch mentre Corrado Passera approccia al foyer come se fosse la Camera dei Lord, parla come se fosse Chamberlain e poi, pam, butta lì che le Comunali, a Milano, le vincerà lui, da solo. A dimostrazione che non tutto è funzionato alla perfezione nella selezione all’ingresso.
Eppure nemmeno i controlli della polizia stropicciano completi, mise e pellicce. Sono tutti divertiti, in fila, gli invitati e gli spettatori danarosi, di dover alzare le braccia, aprire cerniere, togliere giacche, tutte cose che nel mondo normale (ai concerti, allo stadio) si fa tutti i giorni, da decenni. I cecchini sui tetti, come promesso, non si vedono nemmeno e per poco non si notano nemmeno poliziotti e carabinieri all’interno del teatro, mentre in realtà sono uno ogni metro. Sono impeccabili, forse sono loro i veri elegantoni della serata, molto più della gente che piace alla gente che piace, e a fatica si distinguono dal pubblico melomane, solo grazie alle loro medagliette da sceriffi sul petto. Ma i continui filtraggi fanno disperare Paola, una flautista, che per arrivare nella buca dell’orchestra deve fare jogging, avanti e dietro nei corridoi: “Per fortuna suono dal terzo atto”.
Ma di terroristico in questa serata c’è solo qualche capigliatura, qualche cappello, qualche coroncina, al massimo l’abito di Renato Balestra per Marinella Di Capua. L’unico legame con un’inchiesta anti-terrorismo è Stefano Dambruoso, l’ex pm che un tempo si occupava di jihadisti a Milano, poi è stato eletto con Scelta Civica e è diventato ancora più noto quando alla Camera gli toccò risolvere le escandescenze di una collega grillina con una gomitata alla Vierchowod. C’è comunque chi lo riconosce, gli sorride e lo ferma mentre sale le scale alla fine dell’intervallo. “Scusi, onorevole?” chiede una signora con due amiche. “Sì, dica”. “Ci farebbe una foto?”.
Ne girano parecchie alla Scala di visioni, di fantasmi e di ricordi, così come quelli che piegano e portano al delirio Giovanna d’Arco sul palco del Piermarini. Per esempio c’è quel che resta del potere berlusconiano, Gianni Letta. Oppure il famedio del governo Monti. Il prossimo sindaco Passera, certo, ma anche l’ex ministro della Giustizia Paola Severino che gira con un paio d’occhiali da sole con montatura bianca stile Califano. E infine proprio lui, l’ex capo del governo, che supera i controlli di sicurezza, il circo delle interviste tv nel foyer, la bulimia delle telecamere, ma tra un po’ anche le pareti. Tre anni fa c’era lui nel Palco Reale, accanto al presidente Giorgio Napolitano, ora è in tredicesima fila in platea: buona visuale, spazio per allungare le gambe, ottima scelta.
E’ un’altra era geologica. Se non ci fosse Renzi, sarebbe comunque come se. Di renziani è pieno il teatro, management compreso. C’è la presidente di Enel Maria Grazia Grieco, l’amministratore delegato di Poste Francesco Caio, il finanziere più renziano del Renzi Davide Serra, la presidente di Eni Emma Marcegaglia, il presidente di Cassa Depositi e Prestiti Claudio Costamagna e il direttore generale e leopoldo della Rai Antonio Campo Dall’Orto. Enzo Bianco, il sindaco di Catania, bevucchia nell’intervallo in compagnia dell’ex capo di Mps Alessandro Profumo. Ma non è l’unico banchiere. Nell’aria non volano solo gli acuti della star Anna Netrebko, ma anche parecchi milioni di euro: Fabrizio Viola di Monte dei Paschi, Giovanni Bazoli di Intesa Sanpaolo, il vice di Unicredit Fabrizio Palenzona, fresco di quasi-riabilitazione.
Tutti parlano con tutti, la tradizione rispettata. Il foyer è l’intersezione perfetta tra alto e basso, tra destra e sinistra, tra Valeria Marini e l’albero gigante nel grande atrio. Quest’anno vince l’albero ma di misura, di un’anticchia, ai punti, anche se la Marini ce l’ha messa tutta, va detto, forte anche dell’esperienza degli anni scorsi. Presentissimi anche quelli che nessuno sa chi sono e però ci sono tutti gli anni. E che spintoni danno, nel suk del foyer, questi dei piani alti o presunti tali. Una giornalista che assomiglia a Rosanna Vaudetti e brilla come Andromeda chiede a una signorina se si sposta perché non vorrebbe perdere il turno dell’intervista con Franceschini: la signorina evita di dirle che sarebbe la moglie, di Franceschini.
La Prima è un frullato di tuttifrutti. C’è l’ex presidente del tribunale Livia Pomodoro, che un teatro pure lo dirige, e di fianco c’è il conduttore di quel programma che dice che uno è vestito da schifo. “Vabbè, dai – commenta uno con un cartellino alla giacca, un po’ deluso – Renzi, Maroni, Salvatores. Qualcuno quest’anno è venuto. Certo… Se venivi al concerto dell’altro giorno c’erano tutti. Tutti! I più importanti d’Italia c’erano. Moratti, Renato Zero, Galliani. Al Bano. Tutti!”. Piccola precisazione: mai stato Salvatores. Ma c’è però Patti Smith (“La lirica è fonte d’ispirazione”) che all’intervallo fa la fila, annoiata ma paziente, per andare nel bagno del secondo piano mentre giù, picchettata nel foyer come una canadese della Quechua, Sabina Negri, l’ex di Calderoli, mette in vetrina tre tatuaggi su un braccio (una croce, una mezzaluna e una stella di David) e parla di pace nel mondo, dialogo tra religioni. “Dai, cos’è, un film horror” dà di gomito uno all’amico.
L’assessore regionale della Lega Nord Gianni Fava, da sempre sostenitore della legalizzazione delle droghe leggere, si trova a suo agio in completo nero con papillon. Non è dato sapere se ha chiesto chiarimenti politici all’ex iscritta al suo partito, la transessuale turca Efe Bal, uno dei personaggi più in vista della serata: “Efe, ci facciamo un selfie?” le chiedono. Alla fine dell’opera, mentre gli attori in scena cominciano a inchinarsi, si lancia in mezzo all’orchestra e alza una maglietta con scritto qualcosa su un’Italia migliore e più equa. Nessuno la vede, i professori d’orchestra la ignorano. Si è comprata il biglietto a 2200 euro e rivendica di essere la prima prostituta trans a entrare alla Prima per sensibilizzare sulla liberalizzazione della prostituzione. “Qui tra gli invitati ci sono molti miei clienti”. Subito dopo incrocia Livia Pomodoro. Ma non si riconoscono.