Dopo il capo della Casa Bianca, il capo del Pentagono. Con l’America ancora scossa per la strage di San Bernardino, il Dipartimento della Difesa dà seguito al discorso pronunciato da Barack Obama lunedì dallo Studio Ovale. “La realtà è che siamo in guerra“, ha detto il segretario alla Difesa Ash Carter in un’audizione davanti alla commissione Difesa del Congresso per aggiornare sulla strategia degli Stati Uniti contro l’Isis.
“Sono d’accordo con il generale Dunford che non abbiamo contenuto l’Isis”, ha detto Carter, che ha spiegato di aver “personalmente contattato” 40 Paesi per chiedere un maggiore contributo nella lotta allo Stato Islamico. Si impone, quindi, un incremento dello sforzo internazionale contro il califfato, quindi, e per questo motivo gli Stati Uniti “sono pronti all’invio di elicotteri Apache e consiglieri militari in Iraq” per aiutare le forze locali a riprendere il controllo di Ramadi, pur ribadendo la sua contrarietà al dispiegamento di “significative” forze di terra Usa nell’area: si tratterebbe di una una cattiva idea perché “americanizzerebbe” il conflitto. Durante l’audizione ha citato anche la Russia, che “deve concentrarsi sulla parte giusta di questa guerra”.
Parole che si iscrivono nel solco del messaggio che il 7 dicembre il presidente Obama ha rivolto all’America. Tredici minuti di discorso dallo Studio Ovale per dire che gli Stati Uniti “sono dalla parte giusta della storia. Ricordiamoci che la libertà è più forte della paura”, ha detto il leader democratico in rifermento alla strage di matrice jihadista di San Bernardino, località della California dove due radicalizzati hanno ucciso 14 persone. Pur chiedendo al Congresso di autorizzare l’uso continuato della forza militare contro i terroristi, Obama aveva precisato che gli Stati Uniti non saranno “trascinati in una guerra lunga e costosa. Questo è quello che vuole l’Isis”. E gli Usa non invieranno truppe di terra in Siria e in Iraq. “La strategia di adesso – raid aerei, forze speciali e collaborazione con le truppe locali che lottano per riprendersi il controllo del Paese – è così che raggiungeremo una vittoria più sostenibile”.
Secondo l’agenzia di stampa iraniana Fars, Abu Bakr al-Baghdadi si troverebbe a Sirte, città natale del dittatore libico Muammar Gheddafi. Il leader dello Stato islamico, si legge, si sarebbe spostato alla Turchia alla Libia per sfuggire all’intelligence irachena che lo aveva individuato. Giorni fa alcune fonti riferirono che il leader del gruppo jihadista sarebbe stato a Raqqa, dove gli sarebbe stata salvata la vita a causa delle ferite gravissime riportate in un attacco iracheno. Sarebbe stato portato in Turchia per essere curato adeguatamente, afferma l’agenzia Fars citando a sua volta la tv libanese al-Manar, anche con il coordinamento della Cia.