Le primarie non sono più uno strumento politico, ma una branca del kamasutra. Ognuno ha le sue posizioni preferite e l’importante è che siano bizzarre: famolo strano, e anzi a volte non famolo per niente. I più erotomani sono quelli del Pd. Ultimamente dà soddisfazioni anche il M5S, mentre il centrodestra resta in merito assai frigido. Qualche esempio.
Primaria “Straziami ma di Paita saziami”. Si sceglie il candidato peggiore, purché gradito a Renzi, e lo si fa vincere grazie a voti di centrodestra e truppe cammellate variegate (e chissà come cooptate). Qualche Cofferati si arrabbierà, ma pazienza: il nome gradito a Renzi vincerà le primarie. E perderà le elezioni.
Primaria alla cinese. Si cerca di arginare il pericolo giustizialista portando al voto ogni extracomunitario possibile e “inducendolo” ad appoggiare il primo Cozzolino piddino che passa. A volte le primarie vengono annullate e a volte no. È però irrilevante: la sconfitta del nome scelto dall’apparato sarà quasi sempre garantita.
Primaria alla naturale. È la maniera con cui il partito impone un nome bypassando le primarie. Il Pd è in questo bravissimo, ma anche i 5 Stelle a Bologna sono stati allegramente disinvolti nell’imporre Bugani. Di Maio lo ha definito “candidato naturale”, che è la maniera politichese per sottendere: “Lui era molto più casaleggico degli altri”.
Primaria alla renziana. Si organizza una votazione dall’esito scontato per dare un contentino a una renziana arrembante che Renzi vuol far fuori. E la si manda poi al macello. Per dire: Ladylike Moretti in Veneto.
Primaria alla Playmobil. Si sceglie il primo playmobil gradito alla Boschi, magari nella sua Arezzo, e lo si impone certi di vincere. Poi, in campagna elettorale, si fa dire al playmobil che “io sono qua per governare 10 anni”. Solo che la città non si mostra tanto d’accordo e, al secondo turno, lo zimbella con agio. Ovviamente, dopo la sconfitta, Boschi e giglio magico non si fanno vedere, lasciando che il partito cittadino (non) elabori la sconfitta incolpando ora il populismo. Ora gli alieni. E ora il buratto della Giostra del Saracino.
Primaria in salsa Madia. “Ho visto delle vere associazioni a delinquere a Roma”. Lo ha detto la Madia e parlava delle primarie a Roma. Morassut, pure lui Pd, ci è andato anche più pesante. Chiamatela, se volete, democrazia partecipativa.
Primaria pane e Nutella. I 5 Stelle lo definiscono “Metodo Condorcet”. Per ogni candidato si può dare un voto da 1 a 8 (8: non 10). È stato usato per esempio dal M5S a Milano: trecento persone al voto. Davanti al gazebo si distribuivano volantini, pane e Nutella. I maligni dicono che sia la modalità usata quando M5S è sicuro di non poter vincere.
Primaria alla masochista. Candidiamo Di Battista? No, perché “la politica non è un autobus”. Allora facciamo votare solo gli iscritti romani o tutta Italia? Boh. Il M5S si sta arrovellando in merito alle primarie per Roma, e intanto i candidati sindaci sono più di 200. La sensazione è che il Movimento stia cercando un modo certo per perdere nonostante i sondaggi, evitando la briga di governare una città difficile in un momento complicatissimo.
Primaria della manina alzata. Anche detta “Metodo Michelotto”. È la votazione per alzata di mano, spesso gradita dai 5 Stelle (per esempio in Piemonte).
Primaria gelato al cioccolato. È la maniera di intendere le primarie alla Pupo: “A quelle del Pd ho votato Renzi e a quelle del centrodestra (che non ci sono, NdA) voterò Alfano”. Pupo non lo sa, ma è lui – a tutti gli effetti – l’ideologo nascosto del Partito della Nazione.
Primaria alla Agrigentina. A marzo il totemico Silvio Alessi ha vinto le Primarie di Agrigento, solo che nessuno ha capito se fossero del centrosinistra o centrodestra. E in effetti la differenza è labile.
Primaria dei personaggetti. Il Pd è diversamente coerente. Gli ex sindaci possono candidarsi alle primarie? Sì, però mica sempre: De Luca va bene; Marino non va bene; e Bassolino è Bassolino. Anche qui Renzi segue il maestro Silvio nella memorabile imitazione che ne fece Corrado Guzzanti: “Facciamo un po’ come cazzo ci pare”.
Primaria del pugile suonato. È la primaria cara alla sinistra “radicale”: fa trionfare il suo nome più caro, tipo Casson a Venezia, solo che poi quel nome perde. Perché troppo di sinistra. Un po’ come la storia del pugile che, dopo una scoppola tremenda, riassunse così: “Ne ho prese tante, però non sai quante gliene ho dette”.
Primaria del reggimoccolo. Si mugugna contro il despotismo renziano, poi però si obbedisce alla “Ditta” e si va a baciare la pantofola della droide prossima al trono. Chiedere a Bersani, che così fece poco prima delle elezioni liguri. Che il Pd riuscì pure a perdere.
Primaria della geografia variabile. Al centronord il Pd fa le primarie titillando Sel e al Sud sbaciucchia Alfano (che brutta immagine). Qualcuno mette il broncio, tipo Speranza: se però l’opposizione interna è Speranza, in buona sostanza, chi se ne frega.
Primaria dell’hinterland a fasi alterne. Piace molto a Giuseppe Sala. Il quale, dopo avere accettato la corte di Renzi, deve ora capire se per diventare sindaco di Milano gli convenga far votare anche l’hinterland milanese o no. Un’altra primaria à la carte.
Primarie della castità. Le ama il centrodestra, che promette primarie a ogni elezione e poi non le fa mai, regalando così al suo elettorato il solito brodino. E il risultato è così sconsolante che, in una tale penuria, persino un Salvini sembra quasi appetibile.