“Un popolo in cammino – per la giustizia sociale contro le camorre” è la manifestazione che sabato scorso si è svolta lungo le strade di Napoli contro la violenza della criminalità organizzata. Un bel corteo colorato, tante sigle, scuole, associazioni, istituzioni, parrocchie e il mondo del volontariato. Volti sorridenti, sguardi di speranza, cartelli, striscioni e tanta rabbia in corpo. Tra loro anche molti genitori di giovani vittime come Genny Cesarano, il 17enne, ucciso a settembre nel corso di un raid al rione Sanità. Un’iniziativa forte, importante, un modo partecipato di esorcizzare il grande male. E’ una reazione, un tentativo di non arrendersi e alzare la testa.
Ma la camorra è un mostro a più teste che vive di vita propria. Al di là di come la si pensi, la cultura camorristica esiste nelle pieghe di pezzi della città. La respiriamo, ci viviamo accanto ed a volte la tolleriamo bollandola come folklore. Sono bastati pochi giorni. Il “popolo in cammino” si è fermato e nella Napoli meravigliosa, monumentale, affollata di turisti, addobbata di luci natalizie, splendida con i suoi panorami mozzafiato fatti apposta per gli innamorati si è ritornato ad ammazzare. Sangue, sangue e ancora sangue. Azioni di una ferocia inaudita e ancora a scrivere resoconti giornalistici che in filigrana sono sempre gli stessi.
Poche ore fa a Casalnuovo, grosso Comune alle porte di Napoli, l’ennesimo omicidio. I killer si sono appostati all’ingresso della scuola “Antonio de Curtis”. Non appena hanno avvistato l’obiettivo hanno fatto fuoco. Giuseppe Ilardi, 30 anni è stato investito da una raffica di proiettili. Il giovane era al volante della Smart di Antonio Barone, considerato il reggente del clan Veneruso-Rea. Sostengono gli inquirenti che il vero obiettivo del commando di morte fosse stato proprio Barone. Un’esecuzione militare eseguita sotto gli occhi dei passanti e solo per un caso non coincisa con l’uscita dei piccoli studenti dal plesso scolastico. Orrore e ancora orrore.
La fiammata di immane violenza è cominciata ieri sera. A finire sotto i colpi dei sicari è stato Vincenzo Di Napoli, aveva 25 anni, diversi precedenti, soprattutto per spaccio di droga, era in sella al suo scooter è stato inseguito in via Miano, quartiere cuscinetto tra Capodimonte e Secondigliano e ammazzato. Lo scenario è quello della guerra, una delle tante, tra i clan del rione Sanità e il clan Lo Russo egemone a Miano che ha mire espansionistiche nel cuore del centro storico partenopeo. Una situazione incandescente, magmatica, esplosiva che da mesi dilania la città. Faide, regolamenti di conti e scontri per la conquista di pezzettini di potere. Paranze di bimbi, bande di capelloni e terze file di criminali orfani dei boss che si autopromuovono ad improvvisati capi attentano alla sicurezza di Napoli e alla sua coesione sociale.
L’allarme è alto ma il governo nazionale sembra non accorgersene del pericolo che corrono i napoletani e in generale i campani. Occorre fare presto, occorre fare qualcosa, occorre farlo subito. La trama è fitta non solo omicidi e esplosioni di violenze. Ancora da Caserta l’ennesima inchiesta con arresti e sequestri che coinvolge camorristi, imprenditori e politici: c’è un sindaco latitante. Il “popolo è in cammino – per la giustizia sociale contro le camorre” ma lo Stato faccia finalmente lo Stato.