Nel giugno 2014 il protagonista di "5", film che ricostruisce la storia criminale di una banda romana, era stato arrestato assieme ad altre 53 persone nell'inchiesta “Mediterraneo”. Secondo gli inquirenti sfruttava "la sua professione per gestire lo spaccio"
Droga sull’asse Calabria-Roma. C’è anche l’attore Stefano Sammarco tra i condannati del processo “Mediterraneo”. Dovrà scontare 11 anni e 4 mesi di carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico di cocaina.
Una valanga di condanne (31 in totale su 35 imputati) e cosca Molé in ginocchio. I pm Roberto Di Palma e Matteo Centini non possono che essere soddisfatti della sentenza di primo grado arrivata nella tarda serata di mercoledì 9 dicembre al termine di una lunga camera di consiglio in cui il gup Cinzia Barillà ha accolto l’impianto accusatorio della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Pene ancora più pesanti per i vertici del famiglia mafiosa di Gioia Tauro: 17 anni e 8 mesi di carcere, infatti sono stati inflitti a Carmelo Stanganelli, mentre 17 anni a Girolamo Magnoli.
Nel giugno 2014 Stefano Sammarco era stato arrestato assieme ad altre 53 persone nell’ambito dell’inchiesta “Mediterraneo” condotta dai carabinieri del Ros. L’attore romano evidentemente c’aveva preso gusto a recitare in “5”, film che ricostruisce la storia di una banda criminale della periferia romana. Ascoltando le intercettazioni, infatti, sembrava di essere in un film sulla malavita. Solo che le pistole e la cocaina erano vere. Così come i personaggi, affiliati alla ‘ndrangheta, con cui aveva a che fare Sammarco ritenuto – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare – un “soggetto che risulta partecipe, in maniera molto attiva, ai traffici di stupefacente intrattenuti su Roma dai Molé”.
Si faceva chiamare lo “zio” in segno di rispetto e frequenti erano i suoi rapporti con Rocco Molé. Proprio quest’ultimo, in un’intercettazione, disse a Sammarco: “Andiamo a prenderci la glock di tuo padre a casa. La prendi e spariamo a tutti… spariamo a tutta Roma”. Sammarco, rispondendo alle parole di Molé, usò parole e codici di chi è consapevole delle regole della ‘ndrangheta: “Se bisogna portare qualcuno… che volete fare… e gli dobbiamo tagliare dita… orecchi e cose… ho un bel posto… gli diamo pane e acqua… tagliamo orecchie quello che ti pare”.
Stando alle indagini del colonnello Leandro Piccoli, coordinate dai pm Di Palma e Centini, Sammarco partecipava “alle operazioni contabili inerenti sia alla gestione del narcotico sia a quella degli introiti che dalla sua commercializzazione derivavano. Sammarco era un soggetto che si valeva della copertura della sua professione di attore per operare nel settore degli stupefacenti e che interagiva costantemente con i Molé”.
Secondo i carabinieri, per conto della cosca di Gioia Tauro, Sammarco “gestiva le attività di spaccio sul comprensorio di Civitavecchia”. In Calabria come a Roma era tutto in mano alla ‘ndrangheta che controllava anche una serie di sale gioco e un traffico di armi. Tra i condannati, infatti, c’è anche Marino Belfiore (3 anni di carcere), oggi collaboratore di giustizia. All’epoca era l’armiere della cosca Molé che, pochi mesi prima dell’operazione “Mediterraneo”, era stato arrestato dalla Guardia di Finanza a un posto di blocco, nei pressi di Rizziconi, mentre nascondeva 14 kalashnikov nel cofano della sua auto.