In Spagna Blablacar ha vinto il primo round dello scontro con l’associazione delle società di autobus pubblici, anche perché il servizio non genera profitti. Così cambiamento della tecnologia e forza dei bisogni si dimostrano più forti dei regolamenti. Consumatori e nuove possibili controversie.
di Franco Becchis (Fonte: lavoce.info)
Poco sharing, molto selling
Il primo round dello scontro fra autobus pubblici e Blablacar che si è aperto a Madrid va a favore di quest’ultima. Confebus (Confederación Española de Transporte en Autobús), la lobby del trasporto pubblico locale, aveva chiamato in causa per esercizio abusivo di servizio pubblico di trasporto Blablacar – la famosa app che mette in comunicazione chi offre e chi domanda passaggi in auto fra le città – ma il giudice per il momento le ha dato torto.
Per inquadrare la controversia – non dissimile da quella che ha già coinvolto Uber – è utile fare un po’ di chiarezza su due parole usate per descrivere questi fenomeni.
La prima è sharing economy, o economia della condivisione, la più (ab)usata fra le parole che piacciono ai media. Blablacar, Uber, Airbnb, Gnammo e altre piattaforme non condividono un bel niente: un guidatore che carica un autostoppista, una famiglia che ospita gratuitamente dei migranti sono esempi di sharing, condivisione. Uber e i suoi fratelli, invece, permettono ai proprietari di dormant assets (capacità produttiva non utilizzata: case, posti auto, tempo, abilità culinarie) di incontrare la domanda pagante di sconosciuti. È, quindi, una economia degli asset dormienti che si destano al suono della sveglia che proviene dalle tecnologie di comunicazione peer-to-peer.
La seconda parola abusata è servizio pubblico. Nella sua essenza, un servizio è pubblico quando il mercato non è in grado di fornirlo da solo in modo efficiente, equo e accessibile: in altre parole, abbiamo la sanità, le scuole, la depurazione delle acque, lo smaltimento dei rifiuti e altri servizi in mano diretta pubblica o regolati dal pubblico perché non ci fidiamo dei mercati. Un servizio, quindi, non è pubblico perché giuridicamente è stato dichiarato tale o perché qualcuno ha ottenuto la licenza per fornirlo, con esclusiva o senza: è il contenuto che conta, non il contenitore.
A forza di regolare oggetti e contenitori anziché bisogni e contenuti, la pubblica amministrazione ha creato una serie di fortini dove persone e organizzazioni difendono esclusive e diritti. Ma il cambiamento della tecnologia e la forza dei bisogni è più forte dei regolamenti.
Nel caso di Blabacar (che ha 20 milioni di utenti in diciannove paesi e 180 milioni di euro di ricavi nel 2014) il bisogno è la mobilità fra le città (la app non si occupa di mobilità urbana). L’offerta proviene da migliaia di automobilisti che quotidianamente hanno a disposizione posti liberi per viaggi già programmati, mentre altre persone hanno bisogno di un passaggio. Blablacar permette il matching fra offerta e domanda: il guidatore propone un prezzo attenendosi alle linee guida della piattaforma e il suo incasso sarà diverso a seconda dei posti che riuscirà a riempire. Blablacar gestisce ovviamente questi flussi di denaro e trattiene una commissione di circa il 10 per cento.
Il grado di copertura dei costi non è determinabile a priori, tuttavia è ragionevole concludere che il servizio non generi profitti, se non nel caso di offerta continua, posti auto riempiti e auto già ammortizzata alimentata a gas, uno scenario che appare a dir poco improbabile.
Un sistema di recensioni incrociate (ma non simultanee come per Airbnb, quindi aperte a collusione e ritorsione) permette di dare un voto a guidatori e ospiti, disincentivando comportamenti scorretti e costruendo fiducia fra gli utenti.
Nella tabella presentiamo alcuni dati sulla offerta di passaggi dal 7 ottobre 2015 al 7 novembre 2015 su alcune importanti tratte: si tratta di una offerta non irrisoria, ma lontana dai volumi offerti dal servizio di trasporto pubblico ferroviario.
Accusa e difesa
I gestori del servizio pubblico di trasporto su gomma sostengono che la app viola le norme che impongono una autorizzazione pubblica per il trasporto collettivo di persone: Confebus, utilizzando detective privati, ha scoperto che gli automobilisti stipulano assicurazioni con Axa per coprirsi dai rischi, configurando così una attività organizzata e regolare. Poiché BlaBlaCar ha offerto in media 2.162 destinazioni durante l’inverno 2014/2015 in confronto alle 6.812 offerte in media nello stesso periodo dalle imprese di trasporto pubblico di Madrid, Confebus sostiene anche che vi è una penetrazione di mercato di quasi un terzo. In Europa, sempre secondo Confebus, BlaBlaCar avrebbe organizzato nell’ultimo anno 700mila viaggi.
La linea di difesa scelta da BlaBlaCar è articolata su due punti. Primo, “sono un social media, i miei iscritti sono ‘amici’ quindi non è un mercato, quindi non mi puoi attaccare perché ti faccio concorrenza”. Secondo, “i miei autisti non hanno obiettivi di profitto”, tanto che, proprio per proteggersi dall’accusa di concorrenza sleale, BlaBlaCar non ospita offerte da parte di van o minibus. E una società di consulenza incaricata da BlaBlaCar sostiene che i suoi automobilisti fanno meno di due viaggi al mese, incassando circa 50 euro.
Un punto debole nella linea di difesa di Blablacar è certamente l’arruolamento semiprofessionale degli autisti e la “posture” da social network, tuttavia il suo sviluppo si colloca in un processo inarrestabile di espansione dei mercati permessa dalla tecnologia. E la difesa a oltranza delle concessioni pubbliche al trasporto locale non appare come la migliore risposta da parte dei gestori degli autobus.
Prossime puntate
All’orizzonte si profilano controversie analoghe in altri settori. Airbnb è già sotto accusa perché non ha gli standard degli hotel, gli ospiti non pagano la tassa di soggiorno e i proprietari hanno tariffe dell’acqua, dei rifiuti e dell’energia di tipo domestico e non commerciale. Gnammo, che fa incontrare domanda e offerta di pranzi e cene, non passa inosservata alla grande famiglia dei ristoratori e recenti provvedimenti amministrativi a Torino segnalano un conflitto che non può che crescere. Non è ben chiaro il perché, ma sembra che la reputazione sociale che si forma con il giudizio dei clienti, quella che determina il successo e la sconfitta di molte imprese, non valga nulla senza un timbro della Asl. Amazon Flex, che permette a tutti di diventare fattorini per un giorno consegnando pacchi in un’ora, farà infuriare i corrieri e rinascere le polemiche sul lavoro on-demand.
Intanto, gli sfidanti delle vecchie banche hanno già vinto la partita: miliardi di euro transitano nei siti di peer to peer finance. Non è un buon segnale per i gestori di bus, ferrovie, taxi, hotel e ristoranti, ma potrebbe esserlo per i consumatori.