Tutti assolti: il “sistema Sesto” non esisteva, secondo i giudici di Monza. Filippo Penati e gli altri dieci imputati, tra cui una società, sono stati prosciolti nel processo sul presunto giro di mazzette “perché il fatto non sussiste”. Le accuse erano, a vario titolo, corruzione e finanziamento illecito dei partiti. Applausi in aula al momento della lettura del dispositivo della sentenza. “Con questa sentenza si è messa fine ad un’ingiustizia durata quattro anni e mezzo”, ha commentato l’ex presidente della provincia di Milano che ha aggiunto: “Esce pulita la mia immagine di amministratore ed è stata restituita la mia onorabilità”.
La pensa in modo diverso il pm Franca Macchia, che ha sostenuto l’accusa in aula: “Non credo si possa sostenere che il sistema Sesto non esistesse”. Gli imputati sono in parte stati assolti con formula dubitativa e il nucleo principale dell’indagine, quello relativo alle maxi-tangenti in cambio di permessi edilizi in aree ex Falck e Marelli, è stato “sfasciato” con la prescrizione, ha sostenuto Macchia, intervenuta per via della cosiddetta Legge Severino. Cosa che “ha reso più difficile il resto”. Il pm ha affermato che si riserverà di leggere le motivazioni dei giudici (saranno pronte in 90 giorni) per poi valutare se impugnare o meno.
Le richieste dell’accusa
Lo scorso 7 luglio il pm Macchia aveva chiesto al collegio di condannare Penati a 4 anni e mezzo di carcere (3 anni per le presunte tre vicende di corruzione e un anno per l’accusa di finanziamento illecito ai partiti). Da parte sua l’ex capo della segreteria di Pierluigi Bersani ha sempre sostenuto di essere innocente, dicendosi “stupito e amareggiato” per una richiesta della Procura “preconfezionata oltre che esagerata”. Lo stesso Bersani oggi ha twittato: “Assolto Penati. Io non ho mai dubitato. Ma quanto sono lunghi quattro anni?”.
Il magistrato aveva puntato alla condanna a 2 anni e mezzo per Bruno Binasco, imputato come di manager del gruppo Gavio e per l’architetto Renato Sarno, ritenuto “faccendiere” per conto dell’ex presidente della provincia di Milano, 2 anni con le attenuanti generiche “per il comportamento processuale” per Piero Di Caterina, uno degli accusatori di Penati, e un anno e mezzo per Giuseppe Pasini, altro imprenditore-accusatore dell’ex sindaco di Sesto San Giovanni. Per l’ex segretario generale della Provincia di Milano, Antonino Princiotta, sono invece stati chiesti 2 anni di reclusione senza attenuanti, 1 anno e 8 mesi per Norberto Moser, 1 anno e mezzo per Massimo Di Marco e 1 anno e 4 mesi per per Gianlorenzo De Vincenzi. Per la società Codelfa, infine, la Procura ha chiesto la confisca di circa 14 milioni di euro. Solo per Giordano Vimercati, ex braccio destro di Penati, è stata chiesta l’assoluzione con formula piena.
Il “sistema Sesto”, pm: “Fiume di tangenti”
Al centro dell’inchiesta il cosiddetto “sistema Sesto“. Ovvero, un “vasto e diffuso sistema di tangenti”, secondo l’accusa. Un “fiume di denaro” che serviva a soddisfare le “esigenze elettorali” di Filippo Penati “e quelle dei Ds milanesi” con un presunto giro di mazzette e finanziamenti illeciti per “milioni di euro” che sarebbero stati incassati in parte dall’ex presidente della Provincia di Milano. L’inchiesta della Procura di Monza è nata dall’indagine milanese sul caso Santa Giulia-Montecity. Allora gli inquirenti avevano scoperto una serie di fatture per operazioni inesistenti emesse da Piero Di Caterina, titolare della Caronte, a favore del gruppo ‘Risanamento’. Da qui una serie di perquisizioni a casa e nelle sedi delle società dell’imprenditore, diventato assieme al costruttore Giuseppe Pasini il grande accusatore dell’ex sindaco di Sesto San Giovanni, ex presidente della Provincia di Milano ed dirigente del Pd, con il sequestro, tra l’altro, di una e-mail ”compromettente” inviata allo stesso Penati e a Bruno Binasco, amministratore del Gruppo Gavio. Le rivelazioni dei due hanno fatto emergere, questa l’ipotesi, il sistema di tangenti e di finanziamento illecito ai partiti. Nell’inchiesta spunta il caso dell’acquisto, avvenuto nel 2005 da parte di Penati, allora Presidente della Provincia di Milano, del 15% di quote della Milano-Serravalle dal gruppo Gavio a un prezzo ritenuto incongruo. Un’operazione molto discussa, ma su cui la Corte del Conti si è già pronunciata in favore di Penati, tanto da spingere l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, oggi senatore di Ap, a ritrattare le accuse di spreco di denaro pubblico nei confronti dell’avversario politico.
Prescrizione salva Penati dalla concussione
Ma nel frattempo per l’ex dirigente dem è arrivata la prescrizione per l’accusa più pesante: la concussione contestata per un presunto giro di tangenti in cambio di concessioni edilizie sulle aree ex Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, dove in passato Penati è stato sindaco. Penati aveva dichiarato che avrebbe rinunciato alla ‘tagliola’, ma poi quando avrebbe dovuto formalizzare la rinuncia in aula non si è presentato davanti ai giudici che hanno dichiarato prescritto il reato. La difesa ha fatto ricorso in Cassazione contro la prescrizione, ma la Suprema Corte ha bocciato l’istanza. “Non c’è stato consentito di portare le vicende dell’area Falck in questo processo non solo per gli elementi nuovi introdotti dalla legge, ma anche perché l’imputato si è avvalso della prescrizione, che è comunque un suo diritto”, ha spiegato il pm Macchia nella sua requisitoria. “Su questi fatti – ha aggiunto il pm – Penati e le difese si sono opposti ad ogni possibile accertamento della verità”.
“Ora denuncio i miei accusatori”. Rientro in politica? “Non decido oggi”
Dopo la lettura della sentenza, Penati ha parlato anche dei suoi due grandi accusatori: “Ho già denunciato Pasini che dovrà rispondere in Tribunale, e farò lo stesso con Di Caterina. Io no ho mai costretto nessuno, né sono stato corrotto e la vicenda dei prestiti era una bufala per coprire dei problemi propri”. Quanto a un possibile rientro in politica, Penati temporeggia. “Quella di oggi è stata una vittoria sofferta – ha spiegato – e questa vicenda mi ha profondamente segnato. La politica resta la mia grande passione, ma oggi non voglio prendere una decisione su questo capitolo”.
Anche Di Caterina ha voluto commentare, in senso opposto, la sentenza, sposando la tesi del pm Macchia: “La sentenza conferma le mie accuse per quanto riguarda il Sistema Sesto, che esiste in modo chiaro ed evidente, c’è stata gente che ha patteggiato” anche se non si è potuta approfondire in dibattimento “la fase che è stata prescritta”, relativa alla maxi tangente per la riqualificazione delle aree Falck e Marelli.