L'organizzazione, sgominata dalla Guardia di finanza di Mirano coordinata dalla Procura di Padova, confezionava operazioni su misura, a seconda delle esigenze, per piccole e medie imprese che acquistavano e vendevano in nero nei più diversi campi commerciali. Ad avvalersi dei suoi servizi aziende nei settori più diversi, dal tessile all’acciaio, dalla plastica alla cartotecnica
Da quasi tre anni funzionava come un “supermarket della fattura falsa”: confezionava operazioni su misura, a seconda delle esigenze, per piccole e medie imprese che acquistavano e vendevano in nero nei più diversi campi commerciali. Un’architettura raffinata, con un volume d’affari di 150 milioni di euro, scoperta solo grazie all’uso delle intercettazioni. Per coprire il giro di denaro, che veniva reintrodotto in Italia in contanti attraverso gli spalloni, almeno 30 società fittizie italiane ed estere si occupavano delle fatturazioni inesistenti.
La Guardia di finanza di Mirano (Venezia), coordinata dalla Procura di Padova, ha eseguito 20 ordinanze di custodia di cui 10 in carcere nei confronti dei soci di un’associazione a delinquere accusata di reati fiscali e riciclaggio, e sequestrato beni per almeno 35 milioni di euro, tra cui due ville venete, una barca d’altura, più di 100 conti correnti in Paesi dell’Est Europa, 8 società (tra cui un’immobiliare proprietaria di 80 appartamenti) e una valle da pesca nella Laguna di Venezia di oltre 350 ettari. L’operazione, chiamata “Tailor-made”, per cui sono stati impegnati 300 finanzieri, ha portato anche a 150 perquisizioni in diverse regioni d’Italia tra cui Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Campania, Puglia e Sicilia. Il danno causato all’erario è di circa 40 milioni di euro.
L’indagine, partita da una denuncia di una cittadina extracomunitaria che era stata assoldata come prestanome dall’organizzazione, è stata svolta dai finanzieri coordinati dal capitano Michele Soragnese con tecniche di investigazioni tradizionali – pedinamenti, intercettazioni, riscontri documentali – senza le quali non sarebbe stato possibile scoprire la struttura clandestina. La merce veniva comprata e venduta in nero per aggirare il fisco, mentre una serie di società “missing trader” (scatole vuote), curate dall’organizzazione con sede a Padova in via Savelli ma tenute completamente separate dai veri componenti del gruppo, si occupava delle fatturazioni fittizie realizzate con l’aiuto di due consulenti fiscali. I contanti tornavano in Italia con degli spalloni e l’organizzazione tratteneva il 10%.
Erano i clienti stessi – proprietari di aziende nei settori più diversi, dal tessile all’acciaio, dalla plastica alla cartotecnica, denunciati per utilizzo di false fatture – a recarsi nell’ufficio di Padova (i cui “dipendenti” risultavano regolarmente assunti) per avvalersi dei servizi dell’organizzazione. “Comprano tutti in nero perché non ce la fanno più con l’Iva – spiega un impiegato a un nuovo cliente in una conversazione intercettata – il nero è la nuova frontiera per non rischiare con il fisco. Rischi solo se ti beccano con i soldi in mano”.
Tra le persone arrestate Salvatore Lazzarin, veneziano considerato il capo dell’organizzazione, soggetto quasi sconosciuto al fisco che viveva in una villa a Dolo del valore di un milione di euro, in cui sono stati trovati 40 fucili da collezione e un numerosi animali esotici imbalsamati. Il complice, un veneto che lavorava nel settore dei trasporti, organizzava i viaggi fittizi della merce scrupolosamente registrata nei documenti della società: i camion giravano vuoti per mezza Europa per giustificare le operazioni inesistenti.