Recita l’art. 41 (Diritto ad una buona amministrazione) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che “1. Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione. 2. Tale diritto comprende in particolare: il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”. Diritti fondamentali mica pinzillacchere. Eppur si muove.
Premesso che già nel diritto tributario l’imparzialità è una barzelletta, basti ricordare che di fatto la giustizia tributaria dipende dal Ministero Economia delle Finanze e non dal Ministero della Giustizia. Che la metà dei contenziosi vede soccombente l’Amministrazione finanziaria ed in questi casi, pur vittorioso, il contribuente vince ma “a spese compensate”, violandosi sistematicamente l’art. 91 cod. proc. civ. ed il diritto costituzionale sacro di difesa (art. 24 Cost.). Perché chi vince ha diritto alle spese di lite.
Il secondo comma dell’art. 41 della Carta diritti fondamentali Ue scolpisce nelle sacre tavole il diritto al contraddittorio, prima che si adotti un provvedimento lesivo verso un soggetto. Ma il massimo consesso giudiziario italiano (Sezioni Unite) ha appena scritto che no, non vale. Anzi sì, vale ma solo per i tributi cosiddetti armonizzati (Iva, dogane e accise) ma non per tutti gli altri. Peccato che l’art. 41 non ponga alcuna fantomatica distinzione, tanto è chiara. Infatti, con la sentenza n. 24823 depositata il 9 dicembre 2015, le Sezioni Unite scrivono che per i tributi “non armonizzati” (ossia quasi tutti) il generale obbligo del contraddittorio endoprocedimentale tra Amministrazione e contribuente si applica solo ove espressamente previsto.
La partita appena conclusa, dopo che nei mesi precedenti sempre le Sezioni Unite avevano scritto esattamente il contrario (sentenza n. 19667/2014) sostenendo l’esistenza di un principio generale dell’ordinamento, costituzionalizzato dall’art. 24 Cost., per cui anche in campo tributario il contraddittorio endoprocedimentale deve ritenersi, pur in assenza di esplicita previsione normativa, un elemento essenziale del giusto procedimento, è di enorme importanza. Per due motivi: a) il primo è l’abrogazione della cosiddetta certezza del diritto, con la conferma che in Italia da un giorno all’altro dallo scranno più alto (le Sezioni Unite hanno le funzioni di nomofilachia, ossia di uniformare, dando certezza al diritto) tutto può cambiare, ergo i diritti sono carta straccia; b) il secondo, consequenziale, è che i diritti sono espressi in euro, economicizzati, vile pecunia. Ergo sempre carta straccia.
Per giungere a questo percorso i supremi giudici devono scrivere ben 48 pagine, assai tecniche, per spiegare perché in passato si son pronunciati in modo difforme, perché la nostra Carta Costituzionale non sancirebbe un generale principio al contraddittorio, perché l’art. 41 Carta Ue non si applicherebbe, invocando (ma soprattutto adattando, sagomando) la recente giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Infatti ove le Sezioni Unite avessero scritto che “il principio del contraddittorio in materia tributaria è un diritto fondamentale, come ricavabile de plano dalla lettura dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea” (bastando quindi 2 righe, assai elementari), l’Agenzia delle Entrate e tutti gli Enti impositori (da Equitalia sino agli Enti locali e concessionarie) avrebbero subito una valanga di sconfitte per non averlo rispettato. Ergo, i contribuenti avrebbero vinto, in quanto gli è stato violato un principio fondamentale.
Ma tutto questo è pericoloso poiché lo Stato subirebbe un default di bilancio. E oramai il bilancio vien prima di tutto, ancor prima dei diritti fondamentali. Aberrante, mostruoso.
Peraltro, si introduce una incredibile distinzione tra tributi di serie A (i tributi armonizzati) e di serie B (non armonizzati), ponendosi una disparità di trattamento tra diverse imposte, di dubbia legittimità costituzionale.
Si rottamano d’un colpo gli artt. 11, 24, 117 Cost., l’art. 6 Cedu, gli artt. 41, 47 e 48 Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea; l’art. 21 l. 241/90 a presidio dei principi costituzionali (ex art. 97 Cost.) di buona amministrazione e di buon andamento dell’Amministrazione; la nota sentenza Sopropè (Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2008, C-349/07, n. 3/2009, 213), ribadito da Cassazione, Sez. Unite, sentenze n. 19667/2014, n. 18184/2013; Ctr Lombardia, sentenza 10.3.2015 n. 864; l’art. 12 della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) e gli artt. 5, 6, 7, 10 e 12.
L’avvocatura batta un colpo! E’ l’occasione di dimostrare che siamo realmente a presidio dei diritti fondamentali e che non possiamo supinamente accettare l’ennesimo grave affronto. Che si dia battaglia, aprendo un fronte con la Corte di Giustizia, la quale non potrà confermare la violazione della propria Carta dei diritti fondamentali.