Questa volta Sergio Marchionne l’ha sparata grossa. Dev’essere stata l’aria frizzante, qui nel nord Europa, ad averlo ispirato. Prima giovedì ad Amsterdam durante l’assemblea degli azionisti che ha approvato lo spin-off di Ferrari, poi venerdì a Londra nel corso di un incontro con gli investitori, ha annunciato che entro il 2018 FCA azzererà il debito, avrà una capitalizzazione paragonabile a quella dei concorrenti e produrrà 5 miliardi di euro di utile. A onor del vero, ha aggiunto “probabilmente”: un minimo di prudenza, in questi casi, è d’obbligo.
Andiamo con ordine. Innanzitutto, lo scorporo di Ferrari prevede che agli azionisti FCA venga data un’azione Ferrari ogni dieci azioni FCA possedute. Così facendo, Exor manterrà il controllo con il 24%, Piero Lardi Ferrari manterrà il suo 10%, ma indovinate chi è il primo azionista individuale di FCA? Lo stesso Marchionne, ceo di FCA, che detiene circa 15 milioni di titoli (pari all’1% del capitale), e avrà quindi diritto a un congruo pacchetto di azioni Ferrari di cui è presidente.
Per effetto dell’Ipo a Wall Street dello scorso ottobre, in cui è stato collocato sul mercato il 10% delle azioni, e della separazione dal gruppo, FCA dovrebbe incassare in tutto circa 3.7 miliardi di euro, di cui 1.6 miliardi dovrebbe andare a riduzione del debito. Da cui la battuta caustica di Luca di Montezemolo pochi giorni fa, secondo il quale “Ferrari è diventata il bancomat di Fiat”.
Ad Amsterdam, Marchionne ha affermato che lo spin off “aumenterà la capacità di Ferrari di mantenere e accrescere le caratteristiche che la rendono unica”, ma anche che “permetterà a FCA di sviluppare tutto il suo grande potenziale e consentirà al tempo stesso di monetizzarne il valore per finanziare il piano di sviluppo 2014-2018”. Difficile pensare a Ferrari come a una palla al piede, ma in ogni caso adesso è tutto più chiaro. Veniamo ai numeri.
A fine anno l’indebitamento (net industrial debt) dovrebbe essere all’incirca di 7 miliardi e in tre anni verrebbe azzerato, l’utile (adjusted net profit) passerebbe da 1 a 5 miliardi, il fatturato (net revenues) salirebbe del 20% da 110 a 132 miliardi, l’Ebit (adjusted Ebit) raddoppierebbe da 4.5 a oltre 9 miliardi di euro. Più margini che volumi, quindi. Vale la pena di ricordare che nei prossimi tre anni FCA ha scadenze di cassa per 19 miliardi, di cui 2.7 nell’ultimo trimestre di quest’anno, a fronte delle quali dispone oggi di una ventina di miliardi di liquidità.
E qual è il piano di Marchionne per raggiungere obiettivi così ambiziosi ?
“Dobbiamo cercare di puntare sui modelli che tirano per fare cassa e finanziare gli altri”, che tradotto significa spremere il sangue dal marchio Jeep (il target di vendite è stato rivisto a 2 milioni di unità entro il 2018), soprattutto negli Stati Uniti (775mila vendite, +23% nei primi 11 mesi) e in Cina, dove è stata avviata la produzione della Cherokee, e tagliare (o rinviare) gli investimenti previsti per gli altri marchi, a cominciare da Alfa Romeo. Già a ottobre Marchionne aveva detto che gli investimenti su Alfa Romeo sarebbero stati rivisti e potrebbero slittare al 2019-20, mentre la nuova Giulia non arriverà sul mercato prima della metà del 2016, ed il Suv (forse) non prima del 2017.
Nonostante Jeep, tuttavia, nello scorso trimestre il flusso di cassa operativo è stato negativo per circa 800 milioni di euro (al netto della spesa di capitale), mentre una lieve riduzione del debito (200 milioni) è avvenuta solo grazie alla svalutazione della valuta brasiliana, che ha contribuito per quasi un miliardo. Il che, probabilmente, non fa ben sperare.
PS: Pare che Marchionne ad Amsterdam tra le altre cose abbia detto – ma stento a crederci- che “dopo il 2018 il futuro è nell’ibrido”. Per favore, che qualcuno gli ricordi che Toyota di ibride ne ha già vendute oltre 8 milioni, di cui un milione nella sola Europa.