Weekend dell’Immacolata: i più fortunati sono in montagna. Per tutti gli altri scatta l’inferno dantesco dei regali di Natale in città. Pena: corsa circolare in cui si viene sferzati da finti Babbi Natale dentro un megastore di giocattoli.
E’ evidente che la famigerata crisi non ferma le schiere di genitori, decisi ad affrontare l’impossibile pur di soddisfare la lista dei desideri riposti nella letterina. La temperatura all’interno del negozio registra un caldo record che sfiora i trenta gradi, ma i più sopportano con eroica flemma lo sbalzo termico restando incollati a cuffia e scaldacollo. Passata la porta girevole, è subito caos.
Il repertorio natalizio in sottofondo con Coro voci bianche ti azzanna subito alla giugulare, tanto che Frank Sinatra in Santa Claus is comin’ to town potrebbe quasi sembrare un pezzo dance. Questione di pochi passi e la luce al neon neutralizza le tue esili difese, riducendoti come il resto della folla impegnata nella tua stessa missione. Occhio lucido, sguardo assente e palpebra sbarrata, si comincia a errare da uno scaffale all’altro, tra Darth Vader, R2-D2 e il corridoio a tema Frozen. Davanti ai ripiani delle cucine è ferma una famiglia con bambino sugli otto anni. La madre regge la confezione della Miele Gourmet Kitchen (ha in dotazione più pentole di quelle che ho io) e sta leggendo tutto, pure le istruzioni in indonesiano. Il marito intanto tiene a bada la versione italiana di Mike Teavee che in piena crisi isterica vuole andare nel reparto delle PlayStation.
La musica in sala si spegne, ma è solo un’illusione perduta, giusto il tempo di dare spazio a una comunicazione di servizio: “I genitori del bambino con giubbottino rosso sono pregati di andare a prenderlo alle casse”.
Il marito della signora di fianco a me gira e rigira l’i-Phone con sguardo ebete, mentre la moglie gli chiede senza attendere risposta se sia meglio optare per i Lego, i Playmobil o il Meccano.
L’ostacolo tra me e l’area dei giochi in scatola ha la forma di una bambina tarantolata che strilla e si dimena, sua mamma punta il dito minaccioso, ma la folla sbotta in un immaginario “buah”. Tanto, dopo aver messo via il dito, più che alzarla e trascinarla via urlante non riesce a fare. “Una sberla devi darle!” ringhia il padre due passi più indietro, reggendo albero di Natale sciarpe, felpe e cappellini.
I nonni col nipotino fanno parte del cast “La vita è una cosa meravigliosa”. Loro, qualunque cosa succeda, sono in paradiso. Camminano due metri sopra il cielo nel magico mondo dei balocchi e quando il carrello è debitamente pieno, dispensano in uscita un lecca lecca gigante.
“Te l’avevo detto che non dovevamo venirci, OGGI!” Sussurra smozzicato alla moglie un uomo sudaticcio qualche metro più in là. E’ entrato con noi, è da mezz’ora che tiene in braccio sua figlia e ancora non si è tolto il berretto.
Inspiro aria dorata. Espiro energia negativa.
Devo farcela, l’alternativa è spendere il doppio nell’unico negozio di giocattoli nel paese dove vivo.
Al piano di sopra raggiungiamo un microclima tropicale, alimentato dal brontolio di insofferenza e scontento dei compratori natalizi.
Infine succede quel che temevo. Arrivata alla sezione monopattini vengo risucchiata in uno spazio molle, buio, dove il tempo cessa di scorrere. Passa un minuto o forse un’ora. Rincitrullita fisso confezioni di monopattini a due ruote, a tre ruote, di Spiderman, di Violetta, quelli da 20 o 50 Kg, quelli allungabili e quelli richiudibili. Volto lo sguardo piano, il magma di cappotti neri danza al ritmo di un valzer lento disperato. Per chi diavolo devo comprare il monopattino poi?
Forse ho sopravvalutato le mie risorse. Non sono così forte come credevo. Voglio scappare, diventare un pigmeo di sei pollici, sfondare la porta di sicurezza, far suonare tutti gli allarmi. Qualsiasi cosa pur di uscire viva di qua.
Mio marito mi salva. Afferra il primo monopattino e mi trascina via. Non c’è placcaggio che tenga: meta! Fuori, dove ancora si respira, la nebbia sembra quasi bella.
Il Natale è alle porte, gioiamo!
La bontà e la letizia si riversano nel mondo sotto forma di canzoni, cartelloni e cinepanettoni.
Com’è che allora tutte queste facce sembrano tutto tranne che felici?