Per l'ex ministro delle Finanze e del Lavoro l'idea rilanciata da Renzi è "impressionante". E serve solo a prendere tempo. Per aiutare davvero il piccolo risparmiatore bisogna intervenire "ex ante: era quello che facevano partiti politici e lo stesso sindacato, che oggi vedo assente. Il lavoratore va difeso anche quando deve scegliere come investire il Tfr"
“E’ impressionante sentire il governo che rinvii per pronunciarsi a una commissione d’inchiesta quando ha già tutti gli strumenti per poter fare il suo controllo. A partire dalla vigilanza di Bankitalia”. Rino Formica, non nasconde la sua meraviglia rispetto all’ipotesi di aprire una commissione d’inchiesta sugli ultimi dieci anni del sistema bancario italiano e sul ruolo di via Nazionale. Per il politico della vecchia scuola del Partito socialista italiano, ex ministro delle Finanze e del Lavoro, la situazione è paradossale. Anche perché da garante del settore creditizio italiano, con un passato da protagonista nei salvataggi bancari, l’autorità di vigilanza finisce a sua volta sotto esame per il suo operato. “Peraltro nelle quattro banche salvate ritengo ci sia un commissario della Banca d’Italia. Quindi la Banca d’Italia è dentro gli istituti di credito”, spiega l’ex ministro a ilfattoquotidiano.it. “La commissione potrà poi stabilire le responsabilità politiche, funzionali, amministrative nonché la leggerezza di una organizzazione bancaria fondata sul passaparola. Ma non potrà certo risolvere il problema”.
A suo giudizio, quali sono i risultati che potrà dare una commissione d’inchiesta?
Innanzitutto bisogna vedere di che commissione si tratta. Se è istituita per legge nel Parlamento, allora, come l’autorità giudiziaria, potrà acquisire documenti e sentire le testimonianze dei soggetti che ritiene opportuno. Se invece è una semplice indagine conoscitiva di una commissione parlamentare può lasciare il tempo che trova.
In passato le commissioni sono riuscite a produrre risultati significativi?
Sulle banche bisogna andare indietro alle vicenda di Sindona e del crac Ambrosiano. Quando ci fu il crac delle banche del finanziere di Patti, ricordo che la questione fu risolta con un cosiddetto provvedimento Sindona grazie al quale la Banca d’Italia concesse prestiti all’1% in una fase in cui il denaro veniva erogato a due cifre. Provvedimento analogo venne adottato con la crisi del Banco Ambrosiano che venne saldato anche con il recupero delle somme dallo Ior. Certo erano altri tempi: con i tassi alti (fra il 12 e il 15%, ndr), un prestito della Banca d’Italia all’1% risolveva qualsiasi buco. Le commissioni cercarono poi di fare luce sulle cause che avevano prodotto il crac. Oggi invece la commissione deve cercare l’incrocio fra responsabilità di governo nazionale, responsabilità della Comunità europea, del residuo della vigilanza affidato alla Banca d’Italia.
Sarebbe possibile utilizzare per le quattro banche la strategia di salvataggio sperimentata nel caso Sindona e in quello Banco Ambrosiano?
No, innanzitutto per via la sottrazione della sovranità monetaria ai singoli stati. E poi perché i tassi sono molto bassi rispetto ad allora: oggi le banche ricevono dalla Bce finanziamenti allo 0,20 per cento. La situazione attuale è sanabile con interventi dello Stato ovvero con prestiti che possono essere trasformati domani in proprietà in caso di inadempienza. Questa ipotesi di lavoro va però vista in concreto esaminando documenti e fatti. Al momento, nessuno sa cosa c’è in questo sancta sanctorum delle banche. La stessa Banca d’Italia dice che lei non è in condizioni di poter sapere tutto. E quando si dice che non si può sapere tutto, c’è sempre fuori l’essenziale da sapere…..
A suo avviso, dove vanno ricercate le responsabilità di una scarsa protezione dei risparmiatori italiani?
In questa fase si rimpallano le responsabilità su chi ha informato i risparmiatori: certamente gli organi deputati alla vigilanza, come la Banca d’Italia e la Consob, il ministero del Tesoro e le rappresentanze politiche. Ma, parliamoci chiaro, il piccolo risparmiatore non può essere aiutato ex post, ma deve essere aiutato ex ante. Questa era la funzione che svolgevano i partiti politici e lo stesso sindacato che oggi vedo assente. Perché il sindacato, in una realtà circoscritta, come nel caso delle banche territoriali, non ha assistito e informato il lavoratore che va in pensione e che deve investire il Tfr? Il lavoratore non va difeso solo quando c’è una battaglia salariale, ma va difeso in tutte le sue debolezze nei rapporti con la società.
Forse nei sindacati non ci sono le competenze.
Il sindacato dei bancari può prestare benissimo alle confederazioni i suoi esperti.
Il futuro si annuncia sempre più complesso per i risparmiatori…
I grandi investitori hanno già messo al riparo i loro capitali. Il problema esiste principalmente per i piccoli. Per difenderli bisognerà ricorrere a strutture intermedie tra risparmiatore e istituti di credito, sempre più sottratti a forme di controllo nazionale. Una volta erano le organizzazioni dei risparmiatori, i sindacati e i partiti politici a svolgere questa funzione. Ora non più. Tuttavia è inimmaginabile che il risparmiatore di Terni possa avere un rapporto diretto con la Bce di Francoforte per informarsi sui prodotti finanziari. E questo dimostra che la politica degli questi ultimi quindici anni ha lasciato solo il risparmiatore. Con il passaggio di potere dalla Banca d’Italia alla Bce è infatti saltato in aria il presupposto costituzionale della tutela del risparmio. Oggi Francoforte non può certo salvare le banche italiane come ha fatto in passato la Banca d’Italia. Ed è questo il vero punto politico e strutturale della società, che riguarda la sovranità nazionale intesa come l’insieme degli strumenti in mano ai governi per creare le condizioni di sicurezza e stabilità sociale, civile, economica e solo poi militare.