Il partito democratico ha bocciato la ripubblicizzazione promessa in campagna elettorale e auspicata dopo il referendum del 2011, ora cerca la mediazione. Ma gli attivisti non sono convinti: "Troppi interrogativi, piano da Azzeccagarbugli"
L’acqua di Reggio Emilia non diventerà pubblica, ma il servizio probabilmente non sarà nemmeno del tutto esternalizzato. Il sindaco Pd del capoluogo Luca Vecchi, dopo aver bocciato insieme al suo partito la ripubblicizzazione promessa in campagna elettorale e auspicata dopo il referendum del 2011, punta ora a una società mista pubblico-privata. Dopo sei mesi di dibattito cittadino, il piano B del sindaco cerca di mediare in extremis tra le richieste avanzate dai comitati per l’acqua pubblica e le rimostranze della maggior parte degli amministratori della provincia, restii a mantenere gli impegni elettorali e passare al pubblico a causa degli investimenti che avrebbero gravato sulle casse comunali. E soprattutto, tenta di riunificare i vari attori in campo e lo stesso Pd, che sul caso acqua aveva perso la faccia e si era spaccato, con qualche sindaco della provincia che aveva abbracciato, nonostante il diktat di partito, la causa della ripubblicizzazione.
Vecchi ha presentato il suo progetto a poche settimane dal dibattito in consiglio comunale previsto lunedì 14 dicembre, ma pare che intorno alla soluzione si stia trovando un accordo, anche se il comitato Acqua bene comune ha già sollevato molti dubbi. Il piano, elaborato insieme al giurista Giuseppe Caia, prevede una società mista a controllo pubblico con un partner operativo di minoranza. Nei fatti, si costituirà una nuova società e poi si provvederà a mettere a gara un pacchetto minoritario di azioni con l’ingresso di un partner privato. La concessione del servizio idrico però rimarrà in capo alla società e dunque all’amministrazione , mentre al privato spetterà la gestione con una società territoriale che agirà con investimenti e indebitamenti esclusivamente a livello provinciale e si ripagherà con la fatturazione, mentre rimarrà pubblica la proprietà delle reti. Per Vecchi la società mista, che potrebbe già partire nei primi mesi del 2017, dopo il via libera di Atersir e della Regione, potrebbe sgravare i Comuni dai rischi di collasso finanziario, e allo stesso tempo garantire un maggiore livello di pubblicizzazione del servizio idrico.
Per i comitati cittadini che da anni si battono per il passaggio al pubblico però, la nuova strada tracciata dal sindaco presenta ancora molte ombre e potrebbe rivelarsi dannosa quasi quanto andare nuovamente a gara. “Quello di Vecchi è un piano da Azzeccagarbugli, ancora tutto da verificare e ben lontano dal pieno affidamento in house” commenta Emiliano Codeluppi del comitato Acqua bene comune. Tra gli interrogativi avanzati, c’è la poca chiarezza del progetto, che sarebbe ancora tutto da scrivere nei dettagli. Per esempio, fanno notare gli attivisti, non sarebbe ancora specificata la quota da cedere al privato né i criteri di selezione del possibile partner, così come i punti fondanti e la durata della convenzione che si verrà a stipulare con esso. Per il comitato il piano B del primo cittadino sarebbe di fatto “una privatizzazione sotto mentite spoglie” che potrebbe favorire nuovamente la multiutility Iren, che ora gestisce in proroga il servizio e risulterebbe avvantaggiata in un’eventuale selezione. Inoltre il comitato sta valutando di ricorrere a vie legali per valutare la regolarità del progetto, che a detta di Vecchi sarebbe un unicum in Italia, in base alle normative europee. “Questa nuova formula si vuole far passare per una soluzione che mette d’accordo tutti, ma nella realtà è un equilibrismo con cui il sindaco cerca di nascondere una privatizzazione, perché sarà il privato a dettare le regole del gioco – aggiunge Codeluppi – Quello che deve essere chiaro è che in questo modo non si rispetta il referendum e che questa non è una soluzione in chiave pubblica”.
Lunedì 14 dicembre, nella seduta in cui il primo cittadino reggiano chiederà mandato al consiglio comunale di poter illustrare il suo documento all’assemblea dei sindaci, per poi passare ad Atersir e in Regione, gli attivisti, che avevano ricevuto il supporto anche di Stefano Rodotà, presenteranno le quasi 4mila firme raccolte per chiedere all’assemblea di mantenere aperto un dibattito sull’acqua pubblica e di non voltare le spalle al risultato del referendum. Una richiesta che rimarrà salda anche nel caso in cui il consiglio avallerà il progetto di Vecchi. “Vogliamo che l’acqua rimanga un tema dibattuto tra le varie parti sociali – conclude Codeluppi – che ogni cosa che riguarda il servizio sia discussa con i cittadini e non decisa soltanto dalla politica”.