E’ passato quasi in sordina, forse offuscato dalla gigantesca operazione mediatica qual è stata la Leopolda 2015, il provvedimento con cui la scorsa settimana la Corte d’Appello di Milano ha ordinato la trascrizione, presso l’ufficio dello stato civile, di un provvedimento spagnolo di adozione di una bambina, che per convenzione qui chiamerò Isabella, rispetto alla co-madre, sposata con la madre biologica in Spagna. La notizia è importante proprio per il suo parallelismo cronologico con la Leopolda, che ha ospitato il bell’intervento di Marilena Grassadonia, Presidente dell’associazione Famiglie Arcobaleno, che riunisce le famiglie con genitori dello stesso sesso (qui un’interessante analisi dell’intervento).
Dunque due arcobaleni, uno giudiziario e uno politico, che danno il giusto risalto a una questione importante: quella della tutela giuridica dei figli nati da coppie dello stesso sesso.
Una questione, va detto, assolutamente ignorata dalla classe politica attuale e dal legislatore (salvo per qualche sprazzo di illuminata comprensione come quello concesso a Grassadonia), che ormai brancolano nel buio afflitti dal dilemma inesorabile stepchild adoption-SI contro stepchild adoption-NO, come dimostra l’indegno spettacolo della scorsa settimana di annunci e contro-annunci su questa parte del contenuto del famigerato ddl Cirinnà. Un dilemma, questo, che dopo la sentenza della Corte ambrosiana sembra non avere più alcun senso: occorre piuttosto dare piena dignità alla familiarità omogenitoriale, una dignità che il diritto riconosce ormai da tempo attraverso la voce dei giudici.
La storia di Isabella non va lasciata ai soli repertori giudiziari, ma deve essere raccontata. E’ quella di una coppia di donne italiane conviventi dal 1999, che decidono di realizzare il proprio progetto procreativo con la nascita, appunto, di Isabella. Al tempo, in Spagna non c’era ancora la legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso e dunque la piccola risultava figlia solo della sua mamma biologica. Nel 2009 le donne si sposano e l’anno seguente la co-madre ottiene dal giudice spagnolo un’ordinanza di adozione della bambina. Dopo qualche anno, le due donne si separano e regolano il loro divorzio con un accordo articolato che prevede l’affidamento congiunto della figlia.
Il tema è dunque attualissimo: è quello della sorte di una bambina in una famiglia che si spezza, e rispetto alla quale il riconoscimento giuridico della bigenitorialità è fondamentale per garantire la continuità, come scrive la Corte d’Appello, delle “stabili e forti relazioni affettive ed educative riconosciute dalle stesse donne“. Isabella ha due mamme, punto.
Ovviamente, non è mancato il politico di turno che ha bocciato il provvedimento milanese come invasivo della discrezionalità del legislatore. E sono in molti a pensarla così, ne sono certo, anche tra coloro che erano presenti alla Leopolda. Reazioni come questa svelano il paradosso dell’attuale classe dirigente, che pur di non ammettere di essere indietro di anni nell’agenda dei diritti civili, si spende per sostenere che in realtà sono i giudici ad essere … troppo avanti! La verità è che i giudici fanno il loro lavoro, e lo fanno bene: sono i politici che sono inadempienti.
Si badi che i giudici milanesi vanno ben oltre la stepchild adoption, che non offre una vera e propria struttura familiare al bambino, ma si limita a consolidare un rapporto con il secondo genitore. Essa non comprende infatti la famiglia del co-genitore, e dunque i nonni e gli zii, che invece di quella famiglia fanno necessariamente parte.
Qui è necessario un mutamento di visione post-Leopolda: la proposta attualmente in discussione al Senato dovrebbe essere modificata ed ampliata in base alle indicazioni dei giudici milanesi. Altrimenti si avrà ancora un vuoto di tutela, a tutte spese delle migliaia di bambini che oggi sono, per colpa di un legislatore recalcitrante, figli senza diritti. E la Leopolda si confermerà come l’ennesima operazione di facciata, che dà poca sostanza alle cose e nessuna attenzione alle questioni vere.