“Ci sono regole di comportamento che sono tanto più rigorose quando investono la sfera dell’etica pubblica”. Regole che avrebbero dovuto suggerire al ministro delle Riforme Maria Elena Boschi di dimettersi per ragioni “di opportunità politica”. Perché la vicenda della Banca Popolare dell’Etruria ha gettato “un’ombra sull’operato del governo”. Non ha dubbi Massimo Villone, professore emerito di diritto costituzionale alla Federico II di Napoli con una lunga carriera di parlamentare alle spalle. Proveniente dall’esperienza del Partito comunista è stato senatore per quattro legislature, fino al 2008, con il Pds prima e i Ds poi, ricoprendo nel corso del suo secondo mandato anche la presidenza della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Rifiutando l’adesione al Partito democratico.
Il decreto salva-banche varato dal governo, che interviene sulla gestione della crisi, tra le altre, della Popolare dell’Etruria della quale il padre della Boschi è stato vice presidente e il fratello dirigente, pone il ministro in una situazione di conflitto di interessi?
“Il ministro Boschi ha avuto il buon senso di non partecipare alle decisioni del Consiglio dei ministri che avevano ad oggetto l’intervento su queste banche. Direi quindi che, più che un problema di natura formale, si pone un problema di correttezza politica. In altri Paesi ci si sarebbe dimessi per molto meno. In Italia, invece, non c’è lo stesso senso del rispetto verso regole di comportamento che, prima che giuridiche, investono la sfera della correttezza politica”.
Quindi la Boschi si dovrebbe dimettere per una questione di correttezza politica?
“Certo. Pur non avendo ragione di dubitare della sua astensione dal Consiglio dei ministri che ha adottato il provvedimento, ciò non esclude che ci siano delle regole di comportamento che sono tanto più rigorose quando investono la sfera dell’etica pubblica”.
Invece l’esecutivo fa quadrato e difende il suo ministro…
“E’ la dimostrazione che questo governo da un lato rivendica l’adozione di criteri ultra rigorosi quando, a parole, invoca la rottamazione, ma dall’altro non si dimostra diverso dagli altri esecutivi che lo hanno preceduto per quanto riguarda le prassi concrete di comportamento”.
Per esempio?
“Rispetto alle vicende giudiziarie di alcuni componenti del governo e parlamentari si sono dimostrati più o meno garantisti a seconda della tipologia della situazione processuale”.
Basta non partecipare al Consiglio dei ministri per evitare il conflitto di interessi?
“Il confine resta quello della correttezza formale, se si va oltre si rischia di entrare in un terreno molto scivoloso. Mi spiego: per sostenere la sussistenza del conflitto d’interessi occorre fornire la prova che c’è stata un’incidenza sulla decisione del Consiglio dei ministri di quel tale e specifico interesse. Il che diventa una sorta di prova diabolica. Come si può sostenere che nell’intervento del governo sulla banca in questione (la Popolare dell’Etruria, ndr), il padre o il fratello del ministro (Boschi, ndr) hanno determinato l’orientamento del Consiglio dei ministri stesso? Provare una cosa del genere è impossibile. Per questo occorre che la politica si impegni a superare questo tipo di problematica”.
In che modo?
“Seguendo l’esempio di altri Paesi, dove la politica garantisce un livello di autocontrollo interno che va al di sopra della regola giuridica che, a volte, può non essere nelle condizioni di essere applicata”.
E se in Italia valesse lo stesso principio anche per il caso Boschi?
“Non c’è dubbio che da questa vicenda cada un’ombra sull’operato del governo. La circostanza suggerirebbe scelte che in altri Paesi non avrebbero generato né dubbi né perplessità sull’opportunità che un ministro si dimettesse. Abbiamo avuto, del resto, casi eloquenti: il ministro tedesco che si è dimesso per aver copiato la tesi di dottorato, il parlamentare britannico costretto a fare altrettanto perché il coniuge aveva comprato una videocassetta con soldi pubblici e quello americano costretto a farsi da parte per una vicenda di contributi non pagati alla colf”.
Considera fondata la richiesta di chiarimenti e, in mancanza, di dimissioni avanzata da Roberto Saviano nei confronti del ministro Boschi?
“Non da un punto di vista formale, non essendoci ragioni di ritenere che esistano, in tal senso, elementi giuridicamente rilevanti. Ma dal punto di vista dell’opportunità politica mi pare che sia più che fondata una richiesta di chiarimenti utili ad evitare che ricada sul governo un’ombra che certamente non fa bene all’esecutivo. In assenza di tali chiarimenti, legittime mi sembrano, per le stesse ragioni, anche le richieste di dimissioni”.
L’ha stupita la difesa della Boschi da parte del Pd, minoranza compresa, contro l’affondo di Saviano?
“Non mi ha stupito più di tanto. Ricordo una vecchia massima coniata da Ciriaco De Mita: le sfiducie e gli attacchi ai ministri servono solo a compattare il sostegno della maggioranza al ministro medesimo. Mi pare che la regola valga ancora oggi. Allo stesso tempo, come già detto, ritengo giustificata la richiesta di Saviano o di chiunque altro avverta l’esigenza di chiarezza. Anche se, come cittadino della Repubblica, mi piacerebbe che accadesse una cosa diversa”.
Quale?
“Che i chiarimenti fossero dati senza che nessuno li abbia chiesti o pretesi”.
Twitter: @Antonio_Pitoni