Magistrati e guardia di finanza indagano su eventuali responsabilità degli ex amministratori, tra cui il padre del ministro Boschi, per il buco da 3 miliardi sfociato nel commissariamento e poi nella "risoluzione" dell'istituto
Mentre a Civitavecchia si indaga per istigazione al suicidio, la Procura di Arezzo ha avviato un terzo filone di inchiesta sugli ex amministratori di Banca Etruria con l’ipotesi di truffa. Secondo quanto riportano Corriere della Sera e Messaggero la Guardia di Finanza ha già avuto mandato di raccogliere documentazione per indagare su eventuali responsabilità del buco da 3 miliardi di euro che ha portato al crac dell’istituto. Si tratta di un’indagine sul conflitto di interessi che ha avuto origine dalla relazione della Banca d’Italia circa il commissariamento di Banca Etruria nel febbraio 2015. Dalle ispezioni condotte da Bankitalia è emerso infatti che tredici ex amministratori e cinque ex sindaci hanno cumulato 198 posizioni di fido per un importo totale cumulato di 185 milioni e che nel 2013 e 2014, quando i conti erano già in rosso, sono stati spesi 15 milioni di euro per consulenti esterni e 14 milioni per i compensi di consiglieri e sindaci. Inoltre era emerso come le “sofferenze” ammontassero a ben 2 miliardi, un valore triplo rispetto al capitale.
Come è noto nel consiglio di amministrazione di Etruria dal 2011 c’era anche Pierluigi Boschi, padre del ministro per le Riforme Maria Elena. Boschi, che via Nazionale ha sanzionato insieme ad altri membri del cda per carenze di organizzazione e controlli interni, violazioni in materia di trasparenza e omesse o inesatte segnalazioni, è diventato poi vicepresidente, quasi contemporaneamente all’arrivo della figlia al governo e per otto mesi. Peraltro nel frattempo Fratelli d’Italia accusa Tiziano Renzi, padre del presidente del consiglio, di essere socio di Lorenzo Rosi, presidente dell’istituto fino all’intervento della Banca d’Italia (ma l’avvocato di famiglia ha smentito tutto).
Questa parte di inchiesta si affianca agli altri due filoni: il primo sull’ostacolo alla vigilanza, che risale al marzo 2014 e trae origine dalla relazione degli ispettori della Banca d’Italia del 2013, e il terzo, appena chiuso, sulle false fatturazioni datato primavera 2014. Il procuratore Roberto Rossi, che coordina tutti e tre i filoni di indagine, dovrebbe chiudere nei prossimi giorni il filone che ipotizza il reato di ostacolo alla vigilanza chiedendo il rinvio a giudizio per Giuseppe Fornasari ex presidente, Luca Bronchi, ex direttore generale e David Canestri, dirigente centrale.
Per quanto riguarda le vicende di queste settimane, per ora non sono arrivati sul tavolo del procuratore esposti da parte di ex obbligazionisti, tranne uno di Adusbef che probabilmente sarà inviato a Roma per competenza. Già da domani, tuttavia, altre associazioni dei consumatori sarebbero intenzionate a presentare esposti in procura.