La società che gestisce le strade, partecipata al 100% dal Tesoro, ha aperto il conto nel 2008 sotto la gestione Ciucci. Da allora la scelta non è stata rivista nonostante il commissariamento. E senza il decreto avrebbe perso tutto con il crac dell'istituto
C’è l’Anas tra i clienti che hanno tirato non uno ma mille sospiri di sollievo quando il governo ha deciso di intervenire sulle quattro banche in crisi (Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti) addossando i guai sugli azionisti e gli obbligazionisti subordinati e salvando i depositanti. Per l’Anas sarebbero stati guai seri se non fosse stato fatto quell’intervento: senza il decreto Salva banche dal primo gennaio dell’anno prossimo per le quattro banche sarebbe scattato l’ormai famoso bail in, il sistema che risucchia nelle crisi bancarie insieme agli azionisti e agli obbligazionisti anche chi ha un semplice conto corrente con un deposito superiore a 100mila euro. L’azienda delle strade ha la bellezza di 280 milioni di euro su un conto Carichieti, uno dei quattro istituti creditizi arrivati sull’orlo del default. E quindi ha rischiato di perdere una montagna di quattrini, bruciati nella fornace del dissesto. O meglio: insieme all’Anas abbiamo rischiato tutti noi contribuenti, perché l’Anas, pur avendo la configurazione di società per azioni, è interamente pubblica, di proprietà al 100 per cento del ministero del Tesoro e quindi i soldi che maneggia sono soldi nostri.
Anas, la società che ogni anno mette a bilancio circa 800 milioni di euro di valore della produzione, l’azienda su cui confluiscono circa 2 miliardi di trasferimenti statali, ha scelto da tempo come banca di riferimento la minuscola, periferica, pencolante Carichieti, facendo confluire su di essa la montagna di quattrini che la stessa Anas non è riuscita o non ha voluto spendere. E ottenendo come remunerazione un tasso modesto rispetto alla cifra depositata: appena l’1 per cento lordo. I dirigenti del settore finanza Anas si giustificano sostenendo che oggi i tassi di riferimento ufficiali sono negativi, che quei soldi devono teoricamente restare sempre disponibili e che per prudenza gestionale non sono possibili investimenti a rischio.
Ma sul mercato ci sono decine di prodotti bancari non a rischio o a rischio bassissimo e a brevissimo termine con rendimenti più vantaggiosi di quelli ottenuti dall’Anas con Carichieti. Basta andare su internet e se ne trovano numerosi: dai conti di deposito con una durata da 3 mesi a 6 fino all’anno e più, ai pronti contro termine. Oltretutto condizioni migliori di quelle offerte ad Anas vengono assicurate anche a depositi minuscoli: con appena 5mila euro si possono spuntare rendimenti su un conto deposito superiori al 2 per cento lordo l’anno. In sostanza: tenere su un conto 280 milioni di euro all’1 per cento lordo come sta facendo l’Anas è uno spreco.
Ed è anche una follia dal punto di vista economico più generale. Negli ultimi anni sotto la gestione di Pietro Ciucci l’azienda delle strade ha concentrato tutte le sue attenzioni sulle grandi opere, oltretutto con risultati modesti, trascurando gli investimenti per la manutenzione, ridotti a cifre irrisorie rispetto alle necessità. Il risultato è che molte strade statali italiane sono in stato pietoso, tanto che molto opportunamente il nuovo presidente Anas Gianni Armani ripete in ogni occasione che vuole invertire questa tendenza. Il calo dell’attenzione per la manutenzione ha danneggiato in maniera seria il settore delle costruzioni stradali, delle barriere di protezione, della cartellonistica. Soprattutto le piccole e medie aziende, quelle sistematicamente escluse dall’abbuffata delle grandi opere. In seguito a questa politica scriteriata sono fallite decine di imprese e altre sono ormai ridotte con l’acqua alla gola. E fa una certa impressione scoprire che mentre le aziende saltavano per mancanza di lavori commissionati dall’Anas, la stessa Anas teneva spensieratamente su un conto corrente quel capitale sostanzialmente a prendere polvere.
L’idea di aprire un conto corrente fu presa dall’Anas nel 2008, piena era Ciucci, ex boiardo Iri dove si occupava proprio della finanza del gruppo. Fino a quel momento i soldi dell’azienda delle strade venivano tenuti sul conto della Tesoreria dello Stato. Ciucci volle cambiare partendo dal presupposto che l’Anas era nel frattempo diventata una società per azioni e in quanto tale poteva decidere di scegliere a piacimento le forme di investimento della liquidità disponibile. Responsabile del settore Finanza era Stefano Granati, uno degli uomini di stretta fiducia di Ciucci, poi vice dello stesso Ciucci alla società Stretto di Messina. Granati ricopre tuttora la carica di responsabile della Finanza Anas.
Stando alle informazioni ufficiali, nel 2008 fu scelta la minuscola Carichieti sulla base di generiche “ricerche di mercato”. Da allora quella scelta non è stata più rivista, l’ingente liquidità accumulata dall’Anas anno dopo anno è rimasta nelle casse della piccola e scassata banca che nel frattempo ha inesorabilmente limato il rendimento del deposito Anas fino a portarlo al modesto livello dell’1 per cento lordo. All’Anas hanno assistito senza muovere paglia. Incuranti dei rischi e della bufera che si stava addensando su Carichieti, così dipinta dagli ispettori Bankitalia: “Modesto sviluppo, eccesso di assunzioni, promozioni in numero del tutto anomalo, riconoscimento di incentivi ad personam non legati ai risultati o alla tipologia di mansioni svolte”. In quest’ultimo settore si faceva notare tal Domenico Di Fabrizio, espressamente citato nel verbale ispettivo, un tempo autista del mitico ministro democristiano abruzzese Remo Gaspari, poi autista di due direttori generali della banca, prima Francesco Di Tizio e poi Roberto Sbrolli. Questo Di Fabrizio a Chieti è considerato una potenza, in banca e fuori. Conosciuto in politica come Mister preferenze alle comunale del 2010 in una lista di centrodestra e poi come efficace sostenitore di un esponente di centrosinistra alle Regionali. In banca lo descrivono invece come l’occulto manovratore delle nomine dei capi.