“Profondo è il pozzo del passato”, dice Thomas Mann prima di inabissarsi nelle storie del biblico Giuseppe e dei suoi fratelli-coltelli. E innumerevoli sono i lasciti del passato in Rai. Tra questi i Tgr, concepiti all’inizio degli anni ’70, giusto quando, due decenni dopo che la Costituzione le aveva previste, furono istituite le Regioni. La retorica era quella del decentramento, dell’avvicinare il potere al cittadino; il motore era il personale politico locale che voleva un suo pezzo di Stato da governare; il quadro strategico quello del cauto incontro fra comunisti e democristiani all’ombra e con l’alibi di una rete istituzionale diffusa; il frutto televisivo fu la Terza Rete che, protetta dal regime del monopolio televisivo della Rai, avrebbe dovuto generare – analogamente al terzo canale francese e tedesco – vere e proprie tv regionali che oltre a rivolgersi ciascuna separatamente al loro territorio, avrebbero contribuito alla parte di palinsesto rivolta a tutta l’Italia.

Questo disegno “tutto statale” si ridimensionò fulmineamente quando la tv commerciale infranse la diga del monopolio, tanto da spingere la Rai, grazie alla direzione di Guglielmi, a mettere le maiuscole alla Terza Rete. Ma molto, di quei tempi lontani è ancora tra noi: la Regione, che in quanto articolazione dello Stato, oggi è in crisi di credibilità, senso e ruolo, tant’è che c’è chi pensa di darci un taglio, accorpando qua e là (in Francia lo hanno appena fatto; le 23 sedi regionali (comprese quelle delle province speciali di Trento e Bolzano); all’interno di ogni sede il Tgr, che copre con le sue edizioni l’intero orario della giornata. Sicché per dover fare così tanto, e moltiplicato per 23, lo fa con i fichi secchi che l’azienda gli passa. Moltissimi nell’insieme, pochissimi una volta suddivisi fra tutte quelle bocche da sfamare. Insomma, una trappola dove si spende moltissimo per essere poverissimi.

E il pubblico? A guardare l’edizione serale a novembre, l’audience tiene a livello complessivo, attorno ai tre milioni di persone. Le regioni di frontiera (Trentino, Friuli Venezia Giulia, Val d’Aosta) conducono ovviamente la classifica, e per il resto l’andamento è quello di sempre: al Centro-Nord e in Sardegna i numeri dell’ascolto sono doppi rispetto alle regioni meridionali, dove tuttavia è l’ascolto dell’informazione ad essere strutturalmente minore, tant’è che neppure i Tg delle tv private locali ottengono riscontri di audience brillanti.
Al tirare delle somme, le edizioni locali dei Tg del Servizio Pubblico i loro spettatori ce li hanno, e dunque non è lo spazio editoriale che possa essere messo in dubbio. Ma pur essendo tanti, risultano scarsi rispetto alla enormità delle risorse professionali e finanziarie, impiegate per servirli. Quel che è certo insomma, è che il gioco c’è, ma che nelle condizioni attuali non vale la candela. Dunque, per continuare a giocarlo, si dovrà trovare un modo più economico di tenere accesa la luce.

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