C’erano prima che l’Italia nascesse, prima dell’invasione dei Turchi, prima di Cristo, dei Greci e dei Romani. In poche settimane, sono stati rubati tre Menhir preistorici conficcati nelle campagne salentine. Le indagini sono in corso: i furti potrebbero alimentare il mercato nero
In principio, furono gli ulivi millenari, sradicati, caricati sui tir e venduti al Nord, per abbellire ricche dimore. Poi, è toccato alle “pile”, gli antichi lavatoi in pietra da trasformare in fioriere. Ora, dalle campagne salentine spariscono i Menhir, i monoliti preistorici conficcati verticalmente nel terreno, simboli di sacralità di quei luoghi. Nel giro di poche settimane, sono già stati denunciati tre furti. L’ombra del mercato nero dei reperti archeologici si allunga sulle sparizioni e il caso è sotto la lente dei carabinieri.
I ladri di storia hanno colpito in tre punti diversi della provincia di Lecce: prima a Surbo, nei pressi della chiesetta della Madonna d’Aurio; poi tra Cannole e Giurdignano, in quello che è definito il “giardino megalitico d’Italia” proprio a causa della più alta concentrazione di esemplari, ben 25. Da lì è stato asportato il Menhir Anfiano, che prende il nome da una vicina masseria. A fare la brutta sorpresa è stato l’archeologo Cristiano Donato Villani, che ha poi sporto denuncia contro ignoti. Il terzo episodio risale al 28 novembre scorso e stavolta emerge qualche dettaglio in più: ad essere stato portato via è il Menhir Sombrino, a Supersano, nel cuore del Parco agricolo dei Paduli, nel Salento centrale. Quella pietra era stata catalogata e censita nel 1993, posizionata a ridosso di un’antica via di comunicazione, utilizzata poi dai pellegrini che nel Medioevo raggiungevano Santa Maria di Leuca e da qui la Terrasanta. Al suo posto è stata ritrovata una buca. Ad accorgersi dell’accaduto è stato un gruppo di escursionisti, che aveva notato poco prima un’auto dal cui cofano semichiuso sporgeva un grande masso. I dettagli sono stati forniti al comando carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Bari, ai militari della compagnia di Casarano, alla Soprintendenza ai Beni Architettonici di Lecce: in zona, sono presenti diverse telecamere di videosorveglianza e potrebbero emergere indizi utili.
Sarà compito delle indagini stabilire a chi quei Menhir siano destinati. Le ipotesi al vaglio degli investigatori sono diverse: potrebbe trattarsi di furti commissionati da appassionati di antichità o potrebbe essere qualcosa di più grave, il mercato clandestino di reperti che alimenta quella che è definita “archeomafia”. Ciò che è certo è che per trafugare quei monoliti bisogna essere attrezzati: molto spesso hanno dimensioni importanti e sono profondamente conficcati nel terreno, asportabili, dunque, non a mani nude ma con mezzi pesanti.
Ma cosa si ruba? “Un Menhir non rappresenta più nulla se anche solo mosso di pochi metri. Quei monoliti sono a testimoniare un volere antico, un segno di eternità, di profondo rispetto per la madre Terra. Disinnescare millenni di storia con una pala in mano è pura idiozia”. A dirlo è Rudy Miggiano, vicepresidente della locale Rete civica di tutela del patrimonio storico ed archeologico, che ha firmato le denunce ai carabinieri e ora si attrezza per impedire che il fenomeno si allarghi: “il progetto in cantiere – spiega – è quello di installare microchip su ogni pietra sacra, poiché ognuna rappresenta un libro da interpretare in un territorio da cui non può mancare e che non può continuare a perdere testimoni importanti”.
Tutto insieme, quel patrimonio di megaliti sparsi nei campi forma la Stonehenge della Puglia meridionale. I Menhir, assieme ai Dolmen che si estendono, invece, in orizzontale, c’erano prima ancora che l’Italia nascesse, prima che Colombo mettesse piede nelle Americhe, prima dell’invasione dei Turchi, prima di Cristo e prima dei Greci e dei Romani. Per alcuni, erano tombe, per altri altari sacri o simboli di divinazione o comunque di legame viscerale con la terra e con gli astri. Un’interpretazione univoca non c’è, ma si sa che dei tanti sparsi nel Mediterraneo moltissimi sono nel Leccese. Tanti sono andati perduti, sotto i colpi dell’espansione urbanistica o per la necessità di spietrare le campagne. Alcuni sono diventati altro, cristianizzati nel Medioevo con tanto di croci incise sul dorso. Quelli che restano rischiano ora di trasformarsi in bei cimeli da mettere in mostra lontano dal Salento.