Licio Gelli è stato spesso associato alla figura del Grande Vecchio per individuare il livello superiore, quello dei mandanti, dei misteri dell’Italia repubblicana: la stagione della strategia della tensione con le stragi e i tentati colpi di Stato, il rapimento del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, la strage del 2 agosto 1980 a Bologna.
Ritenere che via sia stato un solo uomo a manovrare fenomeni così complessi, è frutto di una deterministica ingenuità che scagiona diverse decine di rilevanti figure che hanno ricoperto alti ruoli nello Stato e sono stati parte dell’attività della loggia massonica P2 guidata da Licio Gelli.
Che cos’è stata veramente la P2? Una struttura massonica, legata all’oltranzismo atlantico, che doveva rimanere segreta anche al resto dei “fratelli”. Uno Stato nello Stato in grado di influenzare, dall’interno, la vita politica del Paese indicando nomine per le posizioni di comando in politica, nell’economia e tra i quadri militari.
Il fascista e combattente della Repubblica sociale italiana Licio Gelli, come arriva a questa posizione? Il rapido salto in avanti nella sua carriera di massone glielo garantisce il Gran Maestro di palazzo Giustiniani, Giordano Gamberini, legato al Partito socialdemocratico e uomo di fiducia della Cia. Gamberini eleva Gelli al rango di Maestro e, nel 1970, gli è concessa la delega per guidare con pieni poteri la Loggia P2, un’articolazione strettamente intrecciata con i comandi dello Stato, in particolare con i servizi segreti. Il Sid (Servizio informazioni difesa) è allora guidato dal generale Vito Miceli – il cui insediamento è attribuito a Gelli – e l’Ufficio affari riservati, il servizio segreto civile, ha in Federico Umberto D’Amato il suo personaggio chiave, anche lui all’interno della P2. Da questa posizione, Licio Gelli è in grado di acquisire informazioni protette, riguardanti la sicurezza dello Stato e informazioni sulla vita delle sue figure chiave, che gli conferiscono un potere ricattatorio.
Non è per una semplice coincidenza che, nel 1970, il controllo gelliano della Loggia P2 finisca per produrre uno dei tentativi di sovvertimento istituzionale più pericolosi della storia della Repubblica mobilitando militari, famiglie mafiose e oltre 20.00 attivisti di destra: il golpe Borghese, avviato con la penetrazione nel ministero dell’Interno, poi interrotto nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. I nomi più rilevanti che muovono il golpe Borghese appartengono alla P2. Accanto a Licio Gelli, ci sono altri 20 uomini che figurano nell’elenco P2, più cinque logge collegate. Fra questi, troviamo implicato anche il finanziere Michele Sindona, pure lui nella P2, in contatto con la mafia e amico di Junio Valerio Borghese.
Nel 1981 i giudici milanesi, Gerardo Colombo e Giuliano Turone, indagando sull’uccisione dell’avvocato Giorgio Ambrosoli – commissionata da Michele Sindona – rinvengono nella residenza di Gelli, a Castiglion Fibocchi nell’aretino, l’elenco degli affiliati alla loggia P2. Oltre a militari, carabinieri, poliziotti, avvocati, magistrati, parlamentari (questi ultimi sono 44), figurano i nomi di industriali (fra questi Silvio Berlusconi), banchieri, 8 direttori di giornali, 22 tra giornalisti e pubblicisti, 7 alti esponenti della Rai-Tv e alcuni editori. Si osservi quanto i mass media siano incastonati all’interno di questa aggregazione di poteri.
Il controllo dei media rappresenta l’evoluzione post golpista e diversamente autoritaria della P2 che, nel 1976, lancia l’operazione mani sulla stampa e che, nel 1977, arriva a controllare il Corriere della Sera.
La lista di operazioni nelle quali la P2 e Licio Gelli sono stati coinvolti è davvero lunga, anche soltanto per ridurla a un semplice elenco. La P2 ha operato per occultare la verità su alcuni casi della strategia della tensione e sulla strage alla stazione di Bologna, dove Licio Gelli è stato condannato – assieme ad altri agenti dei servizi – per depistaggio. Nel caso del rapimento di Aldo Moro, Gelli e la P2 operano al fine di non liberare il prigioniero. Flaminio Piccoli, un leader della Democrazia cristiana, davanti alla Commissione parlamentare sulla P2 ricorda che l’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, “aveva buoni rapporti con la P2 e Gelli”.
Le conseguenze dell’operato della P2 e di Licio Gelli sono state spesso minimizzate, nel solco di una vulgata normalizzatrice per cui, ciò che appartiene alla sfera occulta del potere, non è conoscibile o non è degno di analisi politica e storica.
Tina Anselmi, coraggiosa presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 dirà: “Il mio rammarico è che non si è voluto continuare a indagare, a studiare il nostro lavoro, ad andare in fondo”. Dal suo osservatorio d’inchiesta aveva poi concluso: “Basta una sola persona che ci governa ricattata o ricattabile, perché la democrazia sia a rischio”.