L'impianto, un gioiellino da 40 milioni di euro, che non sarebbe costato un centesimo alle casse pubbliche, si è fermato di fronte agli ostacoli burocratici. La Soprintendenza ha posto il vincolo architettonico sulla vecchia struttura, progettata da Luigi Piccinato, uno dei maggiori architetti italiani
“Il problema del calcio italiano sono gli stadi”. Non passa giorno che presidenti, esperti e addetti del settore non imputino le cause della crisi del pallone all’arretratezza degli impianti del Paese. Ma costruirli o ristrutturarli a volte resta un’impresa impossibile. Come a Pescara, dove un piano da 40 milioni di euro, che non sarebbe costato un centesimo alle casse pubbliche, si è fermato di fronte agli ostacoli burocratici. La Soprintendenza ai Beni Culturali ha detto no, ponendo il vincolo architettonico sul vecchio impianto. Dietro lo stop, una selva di atti amministrativi e lo scaricabarile tra Comune e Soprintendenza. Che si tratti di effettiva tutela di un’importante testimonianza artistica, o solo un eccesso di burocrazia, l’Adriatico rischia di restare vecchio, poco funzionale (e ancor meno redditizio). Come la maggior parte degli stadi italiani.
“UN PICCOLO JUVENTUS STADIUM” – Inaugurato nel ‘55 e ristrutturato nel 2009 per i Giochi del Mediterraneo, lo stadio “Adriatico – Giovanni Cornacchia” ha una capienza di circa 20mila posti ed è dotato di una pista regolamentare di atletica leggera che circonda il campo da calcio. Il progetto – promosso dalla Lega Serie B e la piattaforma “B futura” – prevede adesso un restyling radicale: 20mila posti a sedere tutti coperti, negozi e ristorante dentro la struttura, parcheggio da oltre mille auto e rimozione della pista (da spostare in una nuova “cittadella dell’atletica leggera” in zona San Donato). “Un piccolo Juventus Stadium, un gioiellino dedicato al calcio che potrebbe far fare il salto di qualità al pallone pescarese”, spiega il club. “Senza dimenticare l’indotto economico, perché la struttura funzionerebbe 365 giorni all’anno e creerebbe almeno 200 nuovi posti di lavoro”, aveva aggiunto in sede di presentazione il sindaco Marco Alessandrini.
FONDI PRIVATI, RISPARMIO PER IL COMUNE – Un progetto ambizioso, insomma. Da circa 40 milioni di euro, ma senza costi per il pubblico: verrebbe finanziato infatti con dei Fondi Ue destinati agli impianti sportivi, e soprattutto con i soldi degli investitori privati che si aggiudicheranno il bando pubblico. Anche il Comune ci guadagnerebbe: resterebbe proprietario dell’impianto, ceduto in concessione ai vincitori della gara (si parla di una concessione di 30 anni, con la parte sportiva a sua volta affidata in gestione alla società). “E ci libereremmo dei costi di gestione: siamo in stato di pre-dissesto, lo stadio ci costa un milione l’anno e frutta meno di un terzo”, fanno sapere da Palazzo di città. “È un’operazione intelligente e vantaggiosa”.
LE COLONNE DEL PICCINATO – Non tutti, però, la pensano così: la Soprintendenza ha detto no e le ragioni dello stop sono nella storia dell’impianto, firmato da Luigi Piccinato, uno dei maggiori architetti italiani dell’epoca. Ideatore in particolare delle due colonne che sorreggono una delle tribune, esempio unico di costruzione in cemento armato. Tanto che dello stadio esiste anche una descrizione del grande critico Bruno Zevi. In un primo momento il vincolo sembrava dovesse riguardare solo le due colonne: un ostacolo superabile inglobandole nel nuovo impianto. Poi le carte in tavola sono cambiate: il vincolo, di fatto, riguarda tutto l’impianto. Una pietra tombale per il progetto.
SCAMBIO DI ACCUSE – La mossa della Soprintendenza non è piaciuta a chi credeva e spingeva il progetto, in particolare al Comune: “È una decisione senza senso che ci mette in difficoltà. Forse – aggiungono velenosi da Palazzo di Città – qualcuno si diverte a dire sempre di no: ci risulta che non sia la prima pronuncia in questo senso…”. La Soprintendenza, però, contattata da ilfattoquotidiano.it, rispedisce le accuse al mittente: “È stato proprio il Comune nel 2014 a richiedere l’avvio del riconoscimento di interesse culturale dell’impianto. Nonostante ripetuti inviti a partecipare, si è poi disinteressato della procedura e ha portato avanti in parallelo il progetto di un nuovo stadio senza dirci nulla”. C’è anche un’altra motivazione allo stop: “Lo stadio di recente è stato intitolato a un benemerito abruzzese dell’atletica leggera, Giovanni Cornacchia, riconoscendo implicitamente alla struttura sportiva una valenza legata proprio alla disciplina dell’atletica”. Invece oggi il progetto lo dedicherebbe solo al calcio, spostando l’atletica – disciplina molto sviluppata in città – in un impianto apposito nelle vicinanze. Ogni amministrazione, insomma, ha le sue ragioni. E la vicenda finirà in tribunale: il Comune ha già annunciato che farà ricorso al Tar. Saranno i giudici a scegliere tra vecchio e nuovo Adriatico.