E' complicato non spoilerare in un film che propone sorprese ad ogni angolo di script, rievocando antichi affetti e nuovi rilanci, tra new entry e personaggi icona. Il Risveglio della forza vive sì di drammaturgia propria ed autonomia che lo rendono una spettacolare ed inimitabile space opera vista anche tutta in solitaria senza sapere nulla di cosa è stato raccontato in precedenza; ma ha un debito voluto, enorme, chiaramente devozionale con Guerre Stellari, L’impero colpisce ancora e Il Ritorno dello Jedi
La “Forza” è donna. Questa la prima certezza proveniente da Star Wars: The Force Awakens, il settimo capitolo di Guerre Stellari dal 16 dicembre in oltre 850 sale italiane. La saga Lucas/Disney ricomincia (o continua) da una bella, atletica, ed affascinante signorinella di nome Rey (Daisy Ridley) a caccia di rottami su Jakku, pianeta desertico e ostile, e che finisce per dare manforte alla fuga di un soldato imperiale pentito (John Boyega) che a sua volta sta aiutando Poe (Oscar Isaac), un pilota della Resistenza, a scappare dalle galere del Primo Ordine assieme al prezioso droide BB-8 che conserva un file con le coordinate del nascondiglio dell’oramai anziano Luke Skywalker.
Rey sarà il rinnovato propulsore della saga, l’incarnazione casuale, e sensuale, di una forza al femminile che non sembra aver alcun debito con eroine cinematografiche modello Hunger Games nate mentre Il Risveglio della forza era in gestazione. Ed è complicato non spoilerare in un film che propone sorprese ad ogni angolo di script, rievocando antichi affetti e nuovi rilanci, tra new entry e personaggi icona che hanno legato indissolubilmente i fan al franchising di George Lucas. Intanto al settimo giro tutto è andato benone. Il risveglio della forza è un film godibilissimo, ricco di un materiale strano e ambivalente nella vita dei film che è la nostalgia. La versione di J.J. Abrams di certo non propone elementi ex novo rispetto al mood Star Wars, anzi. Questo capitolo, attesissimo, e pronto a sfondare il muro dei tre miliardi di dollari d’incassi, sembra spesso un grazioso e reverente riciclo carsico di battute, scenari, inquadrature, sequenze, perlomeno della trilogia originale. Quando qualcuno chiederà ‘si può vedere questo film senza aver visto gli altri sei?’, la risposta sarà ‘ni’.
Il Risveglio della forza vive sì di drammaturgia propria ed autonomia che lo rendono una spettacolare ed inimitabile space opera vista anche tutta in solitaria senza sapere nulla di cosa è stato raccontato in precedenza; ma ha un debito voluto, enorme, chiaramente devozionale con Guerre Stellari, L’impero colpisce ancora e Il Ritorno dello Jedi. Soprattutto di quest’ultimo rievoca una certa plumbea atmosfera dove l’incontro/scontro tra “bene” e “male”, con quella “forza” che oscilla tragicamente più dal lato oscuro che da quello della luce, diventa essa stessa essenza basilare della nuova opera. Lo scontro tra forze oscure e la “giusta” interpretazione della “forza” Jedi andava rilanciato, riattualizzato, reso fruibile in un contesto che non poteva che essere un rimescolamento, un dejà-vù iconografico e scenografico della matrice. Per paradosso, da un paladino delle “moderne” serie tv come Abrams non ci si poteva aspettare che questo: il sapiente uso dell’antica modalità seriale della ripetizione. Gli esterni set di sabbia, boschi, montagne innevate, come del resto gli interni delle astronavi, degli hangar, delle cabine di comando che sembrano richiamare l’artigianalità della trilogia primigenia hanno un loro fascino vintage degno di un sequel tanto atteso come il pronunciamento dell’oracolo. Particolari di messa in scena che ancorano fisicamente Il risveglio della forza ad una dimensione concreta e materica che quasi annulla l’ipertecnologizzazione dell’attuale sci-fi.
Detto poi che come sempre il 3D, a livello di senso, nulla aggiunge e nulla crea (c’è pure una proiezione da 70mm in Italia solo all’Arcadia di Melzo ndr), c’è lo sviluppo, il dipanarsi della storia che sembra un delitto raccontare nei dettagli quando ancora le prime proiezioni per il pubblico devono avvenire. Diciamo almeno che la Resistenza ha a che fare con una nuovo recrudescente attacco delle forze del male, qui Primo Ordine, e che riunirà a difendersi sotto la sua insegna la principessa Leia (una Carrie Fisher obiettivamente piuttosto imbalsamata), i droidi R2-D2 e C-3PO, Chewbacca e Han Solo con l’utilissimo e infallibile modernariato del Millennium Falco. Mentre dall’altro lato, quello del male, fanno la loro apparizione Kylo Ren (Adam Driver, da rivedere, per ora meglio con casco nero indossato) e il leader Snoke (Andy Serkis). Lo scontro, che avrà chiaramente conseguenze epocali, si svilupperà con il classico attacco tra caccia e navicelle incuneate in spazi strettissimi, primi piani da cabina di comando, tutine d’antan per i ribelli, il duello con spade laser illuminate, quell’allure da sgangherata ma sentita Resistenza ai nazi (le sequenze di combattimento tra le macerie del castello dove risiede la centenaria Maz Kanata sembrano precipitate dalle Ardenne di Fury).
Diciamo anche che il tono, lo humor, al di là di un superbo Harrison Ford/Han Solo, è baldanzoso e di alleggerimento, come solo una saga universale, rivolta ad un pubblico di ogni età sa fare. Come segnaliamo che il countdown per le vecchie glorie in scena è ben congegnato (la prima a 45 minuti, la seconda a un’ora e dieci, la terza sul finale) e che c’è un morto eccellente, la cui dipartita farà soffrire. Infine il risultato finale di Star Wars: Il Risveglio della forza, questo attaccamento alla fattezze e modalità originarie, alla matrice epocale che ha rivoluzionato il cinema nel 1977, i tratti distintivi da cui non si può, e forse non si deve, allontanare, fa anche capire quanto fosse lungimirante, e ancora oggi attualissima, la parodia di Mel Brooks, Balle Spaziali. Ma questo, forse, è un altro discorso. Che la forza sia di nuovo con voi. Finalmente.